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«A minha terra não é inefável. / A vida na minha terra é que é inefável./ Inefável é oque não pode ser dito (La mia terra non è ineffabile. È la vita nella mia terra a essere ineffabile. Ineffabile è ciò che non può essere detto)».
(Jorge de Sena)

«E por isso em cada gesto ponho / solenidade e risco (E per questo in ogni gesto metto solennità e rischio)».
(Sophia del Mello Breyner Andresen)

Non è una corrispondenza semplicemente epistolare quella tra i due poeti portoghesi Jorge de Sena (esiliato durante il regime di Salazar) e Sophia de Mello Breyner Andresen (rimasta in Portogallo), è più uno scambio aporetico di flussi, un sentire comune nella contraddizione e nella distanza, o meglio, una vitale separazione legata alle parole. Questa comunanza si ricompone nella memoria a posteriori di Rita Azevedo Gomes; il suo quinto lungometraggio Correspondências è un film che si scrive da solo e pone un problema enorme: come rendere visibile l'«ineffabile»? Quale «gesto solenne» dice senza tradire le parole terra – voce – brilla?

Come prima ovvia cosa partire dall’incipit, dalla voce che dice «Caro Jorge/ Cara Sophia», quindi partire dalla voce fuori campo dell’incipit [the angels, by the sounds of his voice, know the love of a man; by the articulation of the sound, his wisdom; and by the sense of his words, his learning]. In un magmatico inizio senza ragione, la phoné come un principio gioca con la mancanza di inizio e ragione mentre tutto il resto altalena nel mezzo: la terra come un gesto, le cose come segni, le parole come ogni posto Frágil como o mundo. Tutti i paesi reali si trasformano in ipotetici letterari, inabitabili citazioni, lacerti: Delfi, posto di estremi simultanei, di estasi e panico, di ascesa e di abisso; la Piramide del sole in Messico, pura immaginazione geometrica di ignoranza che sale verso il livello più alto, mancando sempre la conoscenza e il cielo; L'Italia antropocentrica e senza religione; la Grecia degli dei visibili prima dell’uomo...

Mancando onestamente l'inizio, la Azevedo Gomes semplifica le verità come fanno i veri poeti e mostra la voce mentre si dice, cioè riprende le persone che si alternano nella lettura dei testi, esattamente come un poeta che per aver tentato tutta la vita di approssimarsi all’indicibile semplicemente lo nomina in un verso, lo spiega [inefável é oque não pode ser dito]. Spiegare è un gesto solenne e rischioso appunto [solenidade e risco], perché fa vacillare la parola come una fiamma [una pequena luz parpadeante, une toute petite limiere, just a little light, una piccola...] in tutte le lingue del mondo. La parola esatta, poetica, deve esitare come una luce che lampeggia ferma, [la chiamano voce, l’hanno sentita ed è muta] non identificare la presenza né certificare l’autocoscienza, semmai, mettere a rischio il pensiero razionale e lasciare che emerga l’insicurezza del discorso, la lettera definitiva che non arriva a destinazione [You're not a navigator but an emigrant [...] And now the news that you have die... Death arrives like no letters]. Quando la voce dice il grande rimosso della coscienza occidentale rendendolo visibile come cosa [death, tod, mort, muerte] non è più una tra le voci, ma (miracolo del cinema!) quella sgolata di Sophia che in un filmato dice: that chokes my throat, non ho voce per leggere oltre.

Essendo ogni cosa legata da un rapporto irrecusabile, [my homeland and my centre], gli schermi si moltiplicano come le lingue e, «tra l’intensità del vuoto e l’intensità della comunione, tra il desiderio e la necessità, in un gioco di contraddizioni come il silenzio o una pagina bianca», one day we'll release ouverselves from death without cessing to die.
La ripetizione del presente nei filmati che riprendono Jorge e Sophia inverte la cronologia e fossilizza la Storia e i suoi crimini, sospende la trama con le sue ragioni, azzera la dottrina accademica, pura violenza del pensiero, e si imbatte unicamente nella scelta dell’esilio da casa. Gli esiliati sono due, uno dal Portogallo e l’altra da tutto il resto; il gesto spiegato però si libera in quella distanza, nella sovrapposizione visiva di lingue e tempi corrispondenti, per fare tornare solo ciò che è tenace. L’altalena oscilla con movimenti fantasma che sono una resa visiva alla partenza, una convivenza in totale separatezza.

La lettera è lasciata muta, il discorso interrotto all’inizio di qualche cosa dove non era mai cominciato e racconta della morte del poeta minotauro sconfitto dalla trama di un gomitolo, «non parlava greco, non era greco, ha vissuto prima della Grecia, di tutta questa dotta merda che ci copre da secoli, cagata dai nostri schiavi, o da noi quando siamo schiavi di altri». La voce che dice [Muse teach me the song] deve spiegare la morte con gesto semplice come si beve un caffè, come una resistenza: «e per la limpidezza/delle tanto amate/parole sempre dette con passione/per il colore e per il peso delle parole/per il concreto silenzio limpido delle parole/da dove si ergono le cose nominate/[...]/E l’esilio si inscrive in pieno tempo»: «A Creta, con il Minotauro,/senza versi e senza vita,/senza patria e senza spirito,/senza niente, né nessuno,/che non sia il dito sporco,
mi berrò in pace il mio caffè».





Titolo: Correspondências
Anno: 2016
Durata: 145’
Origine: Portogallo
Colore: C
Genere: Documentario
Produzione: C.R.I.M.

Regia: Rita Azevedo Gomes

Attori: Mário Barroso, Luís Miguel Cintra, Tânia Dinis, Rita Durão, Anna Leppänen, Pierre Léon, Francisco Nascimento, Luna Picoli-Truffaut, Hugo Tourita, Eva Truffaut
Soggetto e Sceneggiatura: Rita Azevedo Gomes
Fotografia: Acácio de Almeida, Jorge Quintela
Montaggio: Rita Azevedo Gomes, Patricia Saramago
Musica: Alexander Zekke

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