Luigi Abiusi, Vanna Carlucci

altQuando nel 1982 Il pianeta azzurro arrivò a Venezia, l'impressione fu di una festosa riesumazione di un piccolo mondo antico che così tornava ad azzurreggiare, luce negli occhi, cime dei monti, nel mezzo della società dello spettacolo. Che era stata anche la rabbiosa denuncia di Pasolini e il conseguente tentativo di recuperare frammenti della Casarsa incantata della sua giovinezza, i ragazzi da abbracciare, baciare maliziosamente nei prati. Ora con Piavoli questo mondo sfolgorava ingenuamente e nella sua fragilità (senza quell'alone di tragico che traspariva anche dal Pasolini più gioioso), come ripreso da un bambino in estasi per i campi assolati, l'ondata di grano e nuvole, i corpi, i sessi, che si scoprivano nei covi delle spighe. Tanto che il film è rimasto vivo nello sguardo e sullo schermo, proiettato di seguito a Roma per non si sa quanto, nel cinema “Azzurro Scipioni” di Silvano Agosti: questo narra la leggenda legata al primo Piavoli, la storia di un film di puro incanto, reiterato nella piena, nella calca urbana. Di lì poi il mito, il viaggio di Nostos - Il ritorno (1989), e ancora il capolavoro di Voci nel tempo nel 1996, che arrivava con un candore stupefacente ad accordare il “Canone e giga” di Pachelbel, uno degli enigmi e dei miracoli più grandi della storia della musica, con l'infinito come domestico (la malinconia legata al “nido”) di un inverno, un lago ghiacciato su cui i monelli ruzzolano, la passeggiata di un vecchio e del suo piccolo nipote che si fermano all'orizzonte a guardare il tramonto di Pachelbel, quell'arancio così flagrante che sembra uscito dal Ballo a Fontanigorda. Fino al Primo soffio di vento (2002), più onirico, interiore: quello spavento di concepire la solitudine e forse anche la morte negli interni delle immagini. Eppure dopo quattordici anni è ancora festa e la vita s'incarna nelle forme estatiche, piene nel vestito, della bellezza.

Il suono di una campana trema nel trascolorare del giorno, il suono come una nenia che si apre a un mondo sepolto e lo rievoca.Â È una voce nel tempo, una musica che si espande, Festa di Franco Piavoli: risveglia ombre che sfiorano le pareti e si toccano con un bacio nell’aria: è un tempo ritrovato, funambolo dentro il gioco della danza, di quel movimento libero tra le pieghe della pelle e degli sguardi lucidi, tutto concentrato tra l’immobilità della morte e la leggerezza della vita.
Festa è un nido pascoliano, probabilmente un ritorno a casa, un ritorno dentro immagini mancanti alla memoria che giostrano con i nostri ricordi, piccoli frammenti di un sentimento lontano, mitico e l’impossibilità di afferrarne tutto il senso. Il cinema di Piavoli è una continua invocazione, una corrispondenza tra ciò  che è sacro e ciò che è profano dirigendo col suo sguardo il filo rosso che congiunge l’uomo alla natura, a un sentimento che ci lega a tutte le cose: non una narrazione ma una composizione, un montaggio come una sinfonia che ridà vita al tempo, all’immagine, il montaggio come «la resurrezione di qualcosa che è passato» direbbe Godard.
Questo passato è Festa: una sagra che è un teatro, un circo di uomini ripresi nella loro antica posa animale; e poi c’è il ballo che unisce, la preghiera che mantiene viva un colloquio ancestrale con Dio, c’è il gioco di sguardi, di voli su una giostra con le mani tese ad acchiappare l’aria, e il senso di solitudine che è lo sguardo lunare e finale, voce di tenebra azzurra (Pascoli) con ciò che permane nei secoli e che non vediamo.




La proiezione del film Festa si terrà giovedì 13 ottobre alle ore 20:30 presso il Cineporto di Bari (Lungomare Starita, 1).

Saranno presenti in sala il regista Franco Piavoli e i critici cinematografici Cecilia Ermini e Simone Emiliani. Introdurrà Luigi Abiusi.

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