Matteo Marelli

Goffredo Fofi scrive che «i registi di cui si può dire che i loro film, nella storia del cinema italiano, non somigliavano a nessuno dei precedenti sono molto pochi. Forse solo Rossellini, Fellini, e Pasolini hanno avuto il dono dell’invenzione e della diversità – della novità». Franco Maresco, prima in coppia con Daniele Ciprì, è oggi, tra i pochissimi in Italia, capace di un gesto registico inconsulto, e probabilmente il solo in grado, nonostante le durezze ideologiche e la diversità rivendicata, di imprimerlo, in modo indiscusso, nell’immaginario spettatoriale.

In principio è stato il catastrofico abisso di anime in pena trovate e inventate da Cinico Tv: flatulenza tellurica eruttata dalle macerie di una realtà postuma, detritica; diffusasi prima localmente, da un’emittente televisiva palermitana, e in seguito su scala nazionale, con Fuori orario e poi Blob. Quei quadri di macerie e nuvole, violentemente e stupendamente figuartivizzati per mezzo d’una potenza fordiana e vertoviana dell'inquadratura, chiusi in cornici di rigore beckettiano, abitati da una malacarne derisoria e selvaggia, d’una comicità, allo stesso tempo, minima e iperbolica, sono quanto di più antitelevisivo la Tv italiana abbia mai prodotto. Come sostiene Enrico Ghezzi, quei quadri «sono “il” monumento del territorio-palermo, la rete che ne resta, la topografia folle lucida della città. Città automaticamente già “post”, rovina (di senso)».

Cinico Tv è diventato poi cinico-cinema. Cinema anarchico. La wilderness post-urbana degli esordi («Mi piacerebbe che un giorno fossimo ricordati come i cantori dell’Oreto, cioè di quella che oggi è poco meno di una discarica infestata dai topi, […]. Bacchelli è stato il poeta del Po, Ciprì e Maresco, nel loro piccolo, i poeti dell’Oreto. Ciascuno ha i fiumi che si merita…») è ancora sfondo dei primi lungometraggi cinematografici (Lo zio di Brooklyn; Totò che visse due volte).
Poi questa radicalità figurativa nel ritrarre il paesaggio si attenua; conta, forse, anche il confronto con il documentario (Enzo, domani a Palermo!; Noi e il Duca - Quando Duke Ellington suonò a Palermo; Miles Gloriosus). La deriva detritica non è più Dopostoria, o Nuova Preistoria, ma prossima, confusa con lo spazio urbano, come accade ne Il ritorno di Cagliostro, in Io sono Tony Scott, ovvero come l'Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz fino a Belluscone. Una storia siciliana, presentato, nella sezione Orizzonti, alla 71° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Tre opere che Maresco considera come una sorta di trilogia. Capitoli che celebrano la scomparsa dei mostri rabelesiani di Cinico Tv fatti fuori dalle schiere di accoliti di onnipotenti e inquietanti burattinai.

Si sta a Belluscone come di fronte agli enigmi wellesiani, anche qui la struttura a “inchiesta” è riflesso di un film in fieri e in continua evoluzione. Un allucinatorio gioco di specchi che apre una lacerazione tra le immagini duplicate. Il film, strutturandosi come una vertiginosa costruzione di rappresentazioni simulate, sistematicamente sconfessate, di eventi che restano sempre da immaginare, dichiara l’impossibilità di istituire un livello incontrovertibile di verità.
Ma la verità per Maresco, così come per Welles (stando a quanto scritto da Ferrero a riguardo di F for Fake), «è degli altri, che la tengono e vi si tengono stretti; ma la menzogna, al solito, ne rovescia l'arroganza in inesistenza, ne schernisce la pretesa di supremazia».



20 Febbraio ore 20.30 presso il Cineporto di Bari c/o Fiera del Levante, Lungomare Starita, 1: INCONTRO CON FRANCO MARESCO.
Interviene, insieme al regista, Bruno Roberti (“Fata Morgana”, “Filmcritica”, Università della Calabria).
A seguire proiezione di BELLUSCONE. UNA STORIA SICILIANA (2014).


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