Rassegne

Continuando sulla strada della ricerca e dell'analisi critica di un cinema contemporaneo penetrante, luminoso, fortemente dialettico, per quanto trascurato dalla distribuzione italiana, la terza edizione della rassegna Registi fuori degli schermi, cercando perciò di recuperare (e mantenere saldo) un contatto con una dimensione europea ed extracontinentale della cultura (non solo cinematografica), si sofferma su alcuni dei migliori autori del panorama internazionale, passati di recente nei vari festival (tra Cannes, Venezia, Roma, Berlino, Locarno, Toronto), attraverso cui si affrontano stili e tematiche all'insegna della discontinuità. 

Cioè - avendo la possibilità, come sempre, di dialogare direttamente con i registi, che saranno presenti, insieme a critici provenienti da varie testate (Marelli, Nazzaro, Sangiorgio, Pacilio, Rossini) al Cineporto di Bari - passando per quella zona ibrida tra finzione e documentario che è di Frammartino, autore di un meraviglioso Le quattro volte (che entusiasmò nel 2010 il pubblico del Festival di Cannes), arrivando poi al documentario, ma in un veste scabrosa (suo  malgrado), ispirato da un'entusiasta curiosità per il mondo e le persone (in chiave omo-sessuale), che è del Soldat di Der Unfertige, documentario vincitore al Festival di Roma nella sezione CinemaXXI. 

Mentre il cinema più propriamente di finzione si delinea a partire dal regista turco Tayfun Pirselimoglu, autore di uno splendido I am not him (tra Kaurismaki e Kieslowski), vincitore al Festival di Roma del premio per la migliore sceneggiatura (dello stesso Pirselimoglu); e passa per il film dell'italo-americano Andrea Pallaoro, Medeas (grande sorpresa allo scorso Festival di Venezia), all'insegna di un rigoglioso e mitico panorama campestre americano. A chiudere, due film diversissimi tra loro: il delicato e commovente affresco della diversità (tra religioni ed etnie) disegnato da Mirko Locatelli (con un Filippo Timi molto intenso) in I corpi estranei (in concorso al Festival di Roma di quest'anno), e, proveniente dallo scorso Festival di Cannes (e vincitore al Festival di Milano), il capolavoro di Yann Gonzales, Les rencontres d'après minuit(tra gli interpreti un grande Eric Cantona), delicato e fantasioso incontro di anime perdute e sognanti nella notte, in attesa dell'alba: grande colonna sonora degli M83; considerato dai Cahiers du cinema uno dei migliori film del 2013.

Quattro grandi maestri, che vengono in continuazione «ai ferri corti con la vita» (Michaelstaedter), facendone cinema sempre in movimento, rivoluzionario: Julio Bressane, ancora sorprendente con il suo Educação Sentimental, presentato a Locarno lo scorso anno; Abel Ferrara che fa un film, anzi due, non su Pasolini ma di Pasolini: ed era necessario mostrare la versione originale del film, del tutto sconosciuta in Italia, a chi non fosse allo scorso Festival di Venezia. Franco Maresco, personalità straordinaria (per quanto appartata) non solo del cinema italiano ma internazionale: il suo Belluscone, nonostante sia uscito nelle sale, è fuori dagli schemi, e merita di essere rivisto e rivisto ancora. Paul Vecchiali, che come un giovane innamorato riesce ancora a commuovere con un film di tale splendore, Nuits blanche sur la jetée. E loro a confronto con due talenti: Timm Kröger, autore di un film “spaventoso”, Zerrumpelt Herz, sempre in bilico, misterioso come alcuni specchi e spazi di Tarkovskij; ed Héléna Klotz, regista de L'âge atomique, uno dei film più belli usciti negli ultimi anni, vincitrice del premio FIPRESCI nella sezione “Panorama” al Festival di Berlino 2012, da dove sono anni che escono le cose più sorprendenti del panorama internazionale. A dialogare con loro, alcuni dei critici che negli ultimi anni hanno fatto la storia (e continuano a farla) della cultura cinematografica e non solo in Italia: a cominciare da Enrico Ghezzi, per finire con Roberto Turigliatto, passando per Lorenzo Esposito, non a giudicare drenando la meravigliosa lucentezza delle immagini, ma ad arricchirle con lo scintillante plusvalore di parole, che reinventano, ogni volta, il cinema.

Quattro grandi maestri, che vengono in continuazione «ai ferri corti con la vita» (Michaelstaedter), facendone cinema sempre in movimento, rivoluzionario: Julio Bressane, ancora sorprendente con il suo Educação Sentimental, presentato a Locarno lo scorso anno; Abel Ferrarache fa un film, anzi due, non su Pasolinima di Pasolini: ed era necessario mostrare la versione originale del film, del tutto sconosciuta in Italia, a chi non fosse allo scorso Festival di Venezia. Franco Maresco, personalità straordinaria (per quanto appartata) non solo del cinema italiano ma internazionale: il suo Belluscone, nonostante sia uscito nelle sale, è fuori dagli schemi, e merita di essere rivisto e rivisto ancora. Paul Vecchiali, che come un giovane innamorato riesce ancora a commuovere con un film di tale splendore, Nuits blanche sur la jetée. E loro a confronto con due talenti: Timm Kröger, autore di un film “spaventoso”, Zerrumpelt Herz, sempre in bilico, misterioso come alcuni specchi e spazi di Tarkovskij; ed Héléna Klotz, regista de L'âge atomique, uno dei film più belli usciti negli ultimi anni, vincitrice del premio FIPRESCI nella sezione “Panorama” al Festival di Berlino 2012, da dove sono anni che escono le cose più sorprendenti del panorama internazionale. A dialogare con loro, alcuni dei critici che negli ultimi anni hanno fatto la storia (e continuano a farla) della cultura cinematografica e non solo in Italia: a cominciare da Enrico Ghezzi, per finire con Roberto Turigliatto, passando per Lorenzo Esposito, non a giudicare drenando la meravigliosa lucentezza delle immagini, ma ad arricchirle con lo scintillante plusvalore di parole, che reinventano, ogni volta, il cinema.

La necessità di indagare e mostrare un cinema sempre più vibrante, la scossa vertiginosa, dialettica che proviene sempre più da certe immagini del cinema contemporaneo (che si tratti di Straub o di Weerasethakul, di Alonso o di Skolimowski, magari Bellocchio), e che diviene dunque necessità politica, ha trasformato quest'anno “Registi fuori dagli sche(r)mi” in una rassegna permanente e maggiormente radicata nel territorio: certo la Puglia in prima battuta, ma la gittata è, come in passato, nazionale ed extranazionale. Da febbraio a novembre 2016, nei cineporti di Bari, Lecce, Foggia, si succederanno alcuni tra i maggiori registi del panorama cinematografico contemporaneo, riprendendo e rafforzando l'intento originario della rassegna: la ricerca sulle immagini nel nostro tempo, mettendole in relazione con i capisaldi del passato; l'approfondimento delle poetiche, appunto delle politiche; la narrazione delle storie legate ai film e ai registi, tra sperimentazioni, opere prime, visioni periferiche e d'altro canto la via delineata dai grandi maestri. 

Ora però anche Lecce e Foggia potranno avere l'occasione di assistere ai seminari e di dialogare dal vivo con gli autori: in ogni caso negli altri due cineporti non direttamente interessati dalla presenza degli ospiti (regista e critici), è confermato il collegamento in streaming dell'incontro, con successiva proiezione del film.

La direzione artistica è sempre di Luigi Abiusi (scrittore, saggista, selezionatore per la “Settimana Internazionale della Critica” del Festival di Venezia; critico cinematografico per diverse riviste tra cui Filmcritica, Filmparlato, Duels e direttore del magazine Uzak.it). La sinergia ormai consolidata è tra Apulia Film Commission e Uzak, rivista di critica militante. Il programma è in itinere visto che si dilata nel tempo e si disloca in tre centri: segue l'idea di un'attualità che presenta di volta in volta casi cruciali, critici, tra i panorami dei festival, uscite di film sommersi, latenze di alcuni autori. Ma si inizia il 25 febbraio con Jerzy Skolimowski, presente al cineporto di Bari, e la proiezione del suo ultimo capolavoro 11 minut (in concorso alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia). L'occasione è buona per un vero e proprio tributo a uno dei più straordinari e longevi autori in circolazione: e infatti a dialogare con lui ci saranno oltre al direttore artistico, i critici cinematografici Lorenzo EspositoMargherita Furdal e Roberto Turigliatto, gli ultimi due autori di Jerzy Skolimowski (per Lindau nel 1996), uno dei libri più importanti scritti sul regista polacco.

Nel 2015 la BBC ha lanciato una serie di documentari intitolata BBC Four Goes Nuclear e dedicata al settantesimo anniversario della tragedia nucleare di Hiroshima. Il tempo in cui le materie radioattive perdono progressivamente la loro radioattività, cioè il tempo necessario affinché il 50% degli atomi si sia disintegrato nel caso dell’uranio-235 è di 710 milioni di anni.

Non è possibile dimenticare la caduta della bomba nucleare su Hiroshima nel 1945, semplicemente perché il suo impatto durerà, per l’uomo, praticamente per sempre. Allora cosa fare?

I documentari a cura della BBC, sperimentati già in passato attraverso la sinergia tra musica e immagine, tornano con alla regia Mark Cousins, per dar vita a Storyville: Atomic – Living in Dread and Promise. In questo caso le musiche del film sono a cura dei Mogwai.

Atomic è anche il titolo del nono album in studio della band scozzese, tuttavia non tutta la musica realizzata per il film ha trovato spazio sul disco e, ovviamente, viceversa. Questo perché legare immagini e musica, in questo documentario, è qualcosa di estremamente complesso, il suono dal quale bisogna partire è un’esplosione, un movimento d’aria capace di distruggere e bruciare tutto.

Come può il suono opporsi al rumore?

Il silenzio è lo strumento da governare e in questo senso la capacità dei Mogwai di ritmare il silenzio si mostra in maniera decisamente più evidente rispetto alla ricerca dell’armonia, perché le immagini, d’archivio, sono state montate in strutture ripetitive, affinché dalla ripetizione stessa possa nascere il suono visivo dal quale lo spettatore è catturato.

Le persone che d’improvviso si gettano per terra dalle biciclette rappresentano uno degli strumenti di ripetizione, insieme alle persone che dipingono di bianco le finestre, alle foto degli scienziati che hanno reso possibile la creazione dell’atomica. La foto di Marie Curie, appare sotto una voce che ripete «science science science», quasi fosse un motto futurista.

Ma le scoperte non hanno portato solo alle due bombe lasciate cadere su Hiroshima e Nagasaki, ma anche, e viene mostrato nel documentario, nell’uso medico. La PET e le scintigrafie utilizzano la radioattività per diagnosticare malattie sui pazienti e sicuramente sono strumenti in grado di salvare molte vite.

Il nucleare in Storyville: Atomic – Living in Dread and Promise non si mette in mostra nello stile classico del documentario sulla bomba atomica, dalla minaccia vissuta durante la guerra fredda, all’esplosione dei reattori nel disastro di Černobyl' alla più recente tragedia legata alla centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi. Infatti, Mark Cousins, come detto, sembra abbia lavorato principalmente sulla ripetizione, che è anche la ripetizione dei messaggi di allerta, della costruzione della paura, ma è anche la ripetizione che non è bastata nelle lotte per il disarmo, per fare in modo che gli stati facciano a meno degli armamenti nucleari. In questo senso il ritmo deve esser ripreso, deve esser portato avanti, continuato e riproposto affinché il disarmo sia totale e in questo la musica dei Mogwai, a partire dalla colonna sonora e dal loro album Atomic, ci ricorda che gran parte della colpa di tutto questo è anche nostra.

«La figura di Cristo […]. Nulla mi pare più contrario al mondo moderno di quella figura: […] – che – dovrebbe avere, alla fine, la stessa violenza di una resistenza: qualcosa che contraddica radicalmente la vita come si sta configurando [...] odio per ogni diversità, rancore teologico senza religione» (Pasolini).

L’inattualità di Cristo è la stessa inattualità di Pasolini: il concetto è da leggersi «nietzcheanamente, come sfasatura anticipatrice» (Marramao).
Una consonanza, a lungo suggerita, che ne Il Vangelo secondo Matteo è addirittura dichiarata con impudenza: «Sono come Cristo – affermerà Pasolini – […] mi identifico con lui perché come lui soffro, come lui pago questa mia “violenza” nei confronti della società, come lui pago questo mio rifiutare totalmente il mondo nel quale vivo» (Pasolini).

Ma in Cristo raccontato da Matteo, Pasolini, oltre alla consanguinea “diversità” morale, ritrova, al culmine del mitico e dell’epico, qualcosa che egli ha sempre febbrilmente avvertito dentro di sé, «quel tanto di misterioso e di irrazionale che ogni vita ha in abbondanza, e che è la “poeticità naturale” della vita» (Pasolini).

Bisogna esporsi (questo insegna
il povero Cristo inchiodato?)

(questo vuol dire il Crocifisso?
Sacrificare ogni giorno il dono
Rinunciare ogni giorno al perdono
Sporgersi ingenui sull’abisso).

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