tom at the farm poster-620x350«Each man kills the thing he loves». Ogni uomo uccide la cosa che ama.
Così cantava Lysiane in Querelle de Brest. Così potrebbe cantare Tom, deciso a salutare, un’ultima volta, il proprio compagno, pur sapendo di doversi calare in un ruolo che lo costringerà a mascherare la reale natura dei suoi affetti.
Perché non esiste democrazia nei sentimenti, ma solo un'applicazione più o meno drammatica del sadomasochismo.

Lo sapeva Fassbinder. E Dolan dimostra d’averlo appreso altrettanto bene, come dimostra nel sottolineare la natura meccanica dei rapporti, gravida di una serenità a dir poco effimera. Inchiodati alle rispettive parti, i personaggi si opprimono l'un l'altro. Pedine di un gioco da incubo, vittime designate di un meccanismo infernale che, dal momento in cui viene innestato, è inarrestabile e finisce per schiacciare chi tenta di sottrarvisi. Tom si ritrova parte di un teatro domestico, di un quadretto familiare. Ma «familiare» nel senso freudiano di Unheimlich, cioè il «non familiare» che pure ci parla come una sirena di cose che conosciamo e che vogliamo sapere, in un continuo gioco di finzione fra conoscenza e ignoranza, fra noto e ignoto.

Dolan compie uno studio del funzionamento della dialettica servo-padrone applicato all’amore. Le crudeli dinamiche del rapporto amoroso, quel continuo e dilaniante gioco di potere attorno a cui si costruisce ogni relazione sentimentale, sono sottoposte ai principi del dominio e del possesso. I protagonisti di questo gioco al massacro bruciano sia dal bisogno di affermare la propria individualità che dal desiderio di annullarsi, condannandosi, così, all’alienazione e alla sofferenza. Magnifica a tal proposito la scena del tango, numero musicale senza musical che ci rimanda a Nick Ray (Johnny Guitar, Gioventù bruciata) oltre ovviamente al già citato Querelle.
A questa realtà esistenziale assoluta Dolan aggiunge però il peso relativo dell'alienazione sociale. Il contesto rurale mostrato in Tom à la ferme è una dimensione che non solo non aiuta a superare l'isolamento, ma lo provoca.

Ogni personaggio manca d'innocenza, ognuno è condannato all'ambiguità. Colpevoli delle consuetudini; di nodi d’amore che sono l’effetto di un potere soffocante e repressivo. La responsabilità della violenza non sta solo nelle mani di chi la impone ma anche in quelle di chi ne è fatto oggetto; coloro che si autorappresentano quali vittime di una certa struttura affettiva diventano a loro volta oppressori, e quindi strumenti del mantenimento della medesima struttura. Non può sfuggire da parte di tutti i personaggi il loro autocompiacimento nella sofferenza, la loro incapacità di scegliere un'identità. A questi non resta atro che comportarsi come degli eroi da melodramma e come tali recitano la scena secondo le situazioni che la vita quotidiana gli propone. È «il mondo come volontà e come rappresentazione». La via della verità, esacerbata e struggente, passa attraverso l'artificio.