Michele Sardone

redemption--3Miguel Gomes  recupera immagini di repertorio delle epoche più svariate (dal cinegiornale al filmino familiare fino a una sequenza di Miracolo a Milano) e le fa entrare in collisione con i ricordi personali di quattro personaggi di altrettanti paesi europei: una lettera di un bambino portoghese all’epoca della caduta dell’impero coloniale, il primo amore di un vecchio milanese (bambina evocata come fosse una “Rosebud”), la confessione di un francese della propria inettitudine ad essere padre, lo sforzo di una sposa tedesca di togliersi dalla testa il motivo del Parsifal di Wagner.


Quella che può sembrare una semplice operazione di found footage d’autore diviene una riflessione sulla memoria stessa, o meglio, su quella opprimente costruzione retorica che è la cosiddetta “memoria condivisa”, secondo la quale tutti dovremmo ricordare tutto il passato, anche quello che non si è vissuto, alla stessa maniera, in modo tale che le azioni del presente possano essere omologate alla vulgata storica che più fa comodo al potere politico al comando. In Redemption, di contro, accade che attraverso il personale, intimo ricordo delle parole, la memoria pubblica diventa uno sfondo posticcio, una scenografia sulla quale si agitano fantasmi, rimembranze perdute senza storia, scollegate da qualsiasi narrazione.

(E qui si potrebbe aprire una parentesi su come in questa Mostra altri film abbiano provato a rendere il corpo a corpo tra immagine e narrazione: ad esempio Mysterious object at noon, primo lungometraggio di Weerasethakul, che si poneva sin dalla sua prima proiezione del 2000 a Rotterdam come oggetto, nella sua matericità di pellicola, da perdere e da ritrovare e restaurare, impossibile da raccontare perché di continuo reinventato dai personaggi stessi, che finiscono per sostituirsi all’univocità dell’autore; o si potrebbe discorrere degli spazi neri all’inizio e alla fine di ognuno dei quasi 60 capitoli di Die Frau des Polizisten di Groening, vere e proprie lacune che si aprano sulla trama, che diventa inattingibile nella sua interezza, come a dire che non bastano neanche tre ore per ricostruire i ricordi, vissuti e immaginati, di un anziano alle prese con la sua coscienza: ma sarebbe ancora una volta impossibile narrare e infatti la parentesi si chiude qui.)

La sorpresa in Redemption arriva nei titoli di coda finali, in punto di morte del film, quando l’autore svela a chi la sua fantasia ha attribuito quei ricordi personali: quattro personalità pubbliche che non hanno più una dimensione privata, per rinuncia o per convenienza. La redenzione finale non è però un’assoluzione, né sembra un auspicio di elevazione spirituale. Il Re è nudo, con un metodico streap tease mediatico chi ha il potere ha usato il proprio privato per abbindolare le masse pruriginose dei divoratori di immagini. Gomes svela tutto questo, purifica il racconto dal soggetto che lo ha soggiogato e lo rende mera narrazione anonima, libero da ogni strumentalizzazione – in una parola: redento.