La cura maniacale del dettaglio di alcuni registi è pari a quella per l’ordine tipica delle casalinghe: esse vedono la loro casa come un set in cui ogni cosa ha il suo posto, ogni collocazione ha un senso, e questo senso deve essere intellegibile attraverso la sua armonia. Una volta allestita la casa-set, tutto è pronto per la messa in scena dello spettacolo quotidiano (un drammone sentimentale, un massacro familiare, una commedia nera, poco importa), ma ecco che si palesa l’incubo del regista casalingo, ovvero che nulla vada secondo i piani: tanto lavoro, infinite cure e attenzioni, e poi magari qualcosa inizia a non andare per il verso giusto (piccole cose, come bruciare la colazione o fulminare una lampadina), dopo avvengono le prime liti, i dissapori, la tensione cresce e gli errori aumentano, immancabile arriva anche un incidente grave e, come accade secondo il classico effetto palla di neve, tutto va a rotoli nel peggiore dei deliri possibili e deflagra in un clamoroso disastro: non si salverà nulla, se non la voglia di tentare ancora.


Cosa è andato storto? La classica risposta del regista casalingo maniacale è che è colpa delle persone: tutto era previsto e curato nei minimi dettagli ma una volta che si entra in contatto con le persone nella casa-set ci si espone al loro egoismo, alla loro noncuranza, alla loro imprevedibilità. Ma tutto questo è anche inevitabile e, se si accetta, si può provare allora a lasciarsi trascinare dal conseguente delirio, che può diventare addirittura affascinante, se non liberatorio: niente più maniacalità né regole, solo un immaginoso e insensato disarmonico fluire.

Nel caso di mother! di Aronosky, poi, l’angoscia maniacale è ammorbante sin dall’inizio, tant’è che è già un disastro anche il tentare di inscenare una piccola azione (come preparare la colazione o accendere una lampadina) e, alla lunga, senza la possibilità di pause e di respiro, all’angoscia non si fa più caso per assuefazione e diventa difficile sopportare il delirio cui si assiste sullo schermo senza annoiarsi. Ma quando si è già pronti a intonare un requiem for a film, ecco che si ha un lampo. Mentre la violenza in scena aumenta di grado in grado fino a superare, come accadrebbe in un film di Fantozzi, prima il verosimile e poi l’incredibile, ecco che ci si desta per un attimo dal torpore: la guerra entra in casa, irrompono dalle finestre soldati con elmetto e fucile, borghesi intellettuali si trasformano in spietati aguzzini, gli ospiti in vittime incaprettate e incappucciate e le belle mura in legno della villetta di campagna americana diventano simili alle rovine di una casa irachena o siriana. E ti assale la sensazione che il mondo è un posto orrendo per creare e procreare.