Sergio Grandolfo

altDall’illuminarsi del proiettore cinematografico, che volge il suo fascio di luce cigolante verso il centro dell’immagine, Spira Mirabilis appare un’opera di immagini che dialogano e scorrono libere, quanto una prominente emersione di suoni: è il deflagrare del tuono, nella grandezza del cielo, nella notte bruna; lo staccarsi rovinoso di un’enorme lastra di marmo, il fragoroso e frusciante cadere di lunghi alberi: un concerto dirompente che si leviga cavalcando lungo l’acqua immobile, immergendosi verticale nell’ascolto del suo respiro, nella profonda sonorità del silenzio.


L'imporsi di un suono catastrofico, carico, che procede verso un invito all’ascolto più segreto, chiuso; la stessa lingua che in Materia oscura (2013), a Salto di Quirra, risuonava oscillando dal tremendo deflagrare, rimbombare degli esplosivi, al suono custodito in quel particolare silenzio: quello dolce degli animali che si abbeverano, delle pecore nel pascolo, del loro calpestio sereno, della cantilena dei campanelli che accompagna lo strappo a piccoli morsi dell'erba dal terreno.

Linguaggio che in Spira Mirabilis rincasa come bailamme infinito nell’operosità, nella vita che non muore mai delle statue del Duomo di Milano, già ascoltata e mirata nell'Infinita Fabbrica del Duomo (2015): testimonianza di un’opera che volge il proprio sguardo alla creazione e alla cura dell’immortalità come resistenza al tempo, che si fa concreta nelle statue, primevo passamento, valico della morte.

Spira Mirabilis è dunque questa lirica elementare sulla vita che sopravvive alla sua stessa catastrofe, sulla resistenza dell’uomo, del suono; che si concretizza nella cura delle statue del Duomo di Milano, nell’artigianale forgiarsi dello Hang, del suo suono, come nell’infiammata resistenza di una comunità Lakota alle incessanti prevaricazioni politiche; un percorso e un discorso che va sincretizzandosi nella figura palingenica di una piccola medusa, che seppur frantumata ritorna splendidamente in vita.

Sono immagini che si muovono libere - come quella di un cavallo che si affranca attraverso lo scorrere del tempo dalla corda che lo sottomette - che si immergono nell’impercettibile ingrandendone la portata, colmando astrattamente l’immagine, e forgiando un suono levigato. Poiché l’elemento congiungete di questa enorme spirale che si muove pastoralmente da Milano a Berna, a Wounded Knee, a Shirahama, è il suonare e il risuonare come linguaggio autentico del silenzio, dal momento che solo nel silenzio la parola, animale della resistenza, suono, può essere ascoltata, pronunciata.

Come possono esserle le parole de L’immortale di Borges, che risuonano oltre la sua morte, in un cinema a luci basse, da un corpo non suo, accompagnate da quel fascio di luce del proiettore che apre, segue e socchiude il farsi di Spira Mirabilis attraverso immagini di repertorio e film di famiglia. Sembra quest’ultimo il conclusivo arco di Spira Mirabilis, di un concerto di resistenza alla catastrofe; di un’opera di vita e di rinascita che in conclusione si concretizza nello scorrere perpetuo delle immagini, in quel conclusivo desiderio di immortale resistenza che è l’impressione di memoria nell'immagine cinematografica.