altNon essere cattivo è destinato ad essere l'ultimo film di Claudio Caligari. Malato da tempo, l'autore si è spento prima ancora di apporre il sigillo del final cut alla propria opera.
Forse, nella storia del cinema italiano, Caligari - a dispetto dell'esigua filmografia - si può ben designare come uno dei pochi eredi del magistero pasoliniano. Non solo nelle intenzioni o nelle dichiarazioni programmatiche: il suo cinema racconta storie di borgatari ed emarginati (i drogati, transessuali, barboni e papponi di Amore tossico, oppure i rapinatori "proletari" de L'odore della notte) con un'intensità che sfugge il rischio della serigrafia.
Anche Non essere cattivo assume a modello il cinema dell'autore di Accattone, raccontando la storia di due tossicomani e spacciatori del litorale romano.

Per redigere il proprio testamento cinematografico, Caligari imbastisce un dialogo a distanza con quello che rappresentò il suo esordio nel lungometraggio di finzione: Amore tossico. Talvolta pedissequamente citata, talaltra echeggiata, la pellicola del 1983 non funge solo da primo referente metatestuale o da base su cui erigere l'intelaiatura drammaturgica. Si configura, invero, come termine di paragone: Non essere cattivo non è solo una parafrasi di Amore tossico, ma ne costituisce anche un aggiornamento. Non a caso l'opera è ambientata nel 1995: «con questo film termina l'era pasoliniana», dice Caligari. A trasformarsi, più che lo scenario socioculturale, è però quello ambientale: l'eroina consumata dai personaggi di Amore tossico viene sostituita dalla cocaina e dall'avvento delle droghe sintetiche. Il senso di smarrimento esistenziale di questi ultimi si unisce alla forma nervosa e allucinata de L'odore della notte, a testimonio di uno scollamento tra i protagonisti e il mondo che abitano. In fondo, Caligari mette sempre al centro dell'inquadratura quelli che Giulio Sangiorgio definisce "corpi opachi": involucri di carne scissi dallo spazio. Il portato emozionale del cinema dell'autore (torinese di nascita ma romano d'elezione artistica) nasce proprio da qui, da quest'adesione primariamente fisica e viscerale alla materia.

Non essere cattivo, com'è marca costante dell'operato del regista, non elude riferimenti al cinema di genere né rifugge tantomeno la citazione o il rimando cinefilo (sono diversi i richiami avvertibili: da I vitelloni a Carlito's Way). Eppure, c'è uno scarto evidente nel cinema di Caligari che impedisce all'operazione di configurarsi come piatta decalcomania di stilemi frusti e logori. L'autore, infatti, dà prova di aver assorbito i precetti zavattiniani del pedinamento e dell'osservazione e nella prima parte lascia che la macchina da presa segua i suoi personaggi condannati ad ininterrotti détournement notturni, privi di una meta precisamente definita. Una scelta di linguaggio perfettamente in grado di condensare il senso profondo di esistenze alla deriva, letteralmente senza scopo.

D'altro canto, la seconda parte - sancendo qui una netta separazione da Amore tossico - apre una bisecazione tra le strade dei due protagonisti: un destino complementare e opposto riserverà loro questo mondo in crescente deterioramento, prigioniero delle logiche di un consumismo incontrollato che sovrintende persino sui rapporti umani.
Contrariamente a quanto accadeva ne L'odore della notte, i legami familiari divengono qui ancora di salvezza. È forse questo l'ultimo colpo d'ala di Caligari, cineasta profondamente pessimista che ha scelto di concludere la propria carriera con un'immagine di evidente, tenerissima speranza.