Il tempo è un nodo. Lega un’idea con un’immagine, un’immagine a un suono, un suono con un ricordo. Ma il tempo, annodandosi su se stesso, mette in contatto in modo inatteso spire a prima vista incongruenti, un’idea con un’immagine emersa per chissà quale associazione, un’immagine con un sonoro posticcio, un rumore con un ricordo che non ci appartiene. Capita quindi di trovarsi immersi in un flusso di visioni che si sottraggono a qualsiasi tentativo di decodificare, di connettere e di legare.

Un simile disorientamento sembra aver colto anche Sokurov, che interroga nel suo Francofonia i maestri, i grandi decodificatori del diciannovesimo secolo, in cerca di un aiuto, di una suggestione, come hanno fatto in alcune delle sue precedenti Elegie, per interpretare il tempo attuale. Ma lo studio della storia affolla il presente di fantasmi, troppa memoria si accumula e grava nello sguardo di chi cerca di rispondere alle domande senza risposta – da dove (da quale tempo) veniamo, come siamo arrivati sin qui, cosa ci aspetta più in là, alla prossima spira del tempo. E il “noi” che rivolge queste domande è di volta in volta un noi tutti, un noi due, un popolo. Domande rivolte a noi stessi, a cui cerchiamo risposta riflettendoci in un altro noi.

Il Louvre si presta a immagine speculare e speculativa, a riflessione storico-mnemonica, di una nazione: la sua stessa storia è fatta di progetti, ripensamenti, espansioni, accumuli, sconfitte subite, saccheggi perpetrati, ricostruzioni, ammodernamenti, azzardi. Per le sue sale e i sotterranei si aggirano il conte Metternich e il direttore Jaujard, Napoleone e la Marianne, soldati nazisti e mummie (no, sarebbe troppo, le mummie riposano indifferenti). Come accade spesso nei film che fanno del tempo la propria messa in scena, anche in Francofonia assistiamo a slittamenti temporali e sovrapposizioni storiche, fino a vedere epoche differenti un’unica visione. Ma per Sokurov interrogare un’immagine è al tempo stesso un’indagine sul mezzo che la riproduce, e a collidere sono i vari supporti: foto del secolo scorso si alternano a riprese da dolly, filmati d’epoca a travelling con droni, opere d’arte a immagini pixellate da videochiamata.

Così accade che la nave mercantile che trasporta, nel tempo attuale, opere d’arte e affronta l’oceano in tempesta, sia associata ai numerosi naufragi nei quali, sulle rotte del saccheggio, sono andati perduti tesori artistici inestimabili: e le due immagini trovano un inaspettato comune correlato nel mare che si apre all’ultimo sguardo di Arca Russa, ritorno di una spira del tempo che si attorciglia su stesso. Ancora un flusso, un nodo temporale, refrattario ad essere sciolto, ma che lega inaspettatamente due popoli, due musei, il Louvre di Parigi con l’Ermitage di San Pietroburgo, due riflessioni sul tempo e due imperativi: salva e custodisci.