apres-mai-14-11-2012-1-gDopo il Maggio francese arriva un été brûlant, la stagione in cui vengono bruciati i sogni rivoluzionari di ogni giovane generazione. Come fosse uno scorcio impressionista, il sogno appare: una ragazza vestita di bianco passeggia in un bosco e fa entrare in quadro il suo giovane pittore. Egli prova a farla sua, ma la visione gli sfugge via. Il ragazzo tenta allora di inseguire la bellezza attraverso la lotta contro il potere che deturpa il volto di ciò che gli si oppone: fa di un quadro un manifesto politico mentre un graffito propagandistico lo compone come fosse un collage performativo.


La contingenza delle cose reali però vuole prendere il sopravvento, la bellezza deve servire alla lotta e l’immaginazione al potere della retorica movimentista. Il pittore decide di andar via, cercare altre immagini di un tempo altro, ben sapendo (e pure Assayas sembra voler tenere a mente lo stesso monito per tutto il film) che ogni artista non può limitarsi a scimmiottare gli artisti che lo hanno preceduto né trascinarsi il proprio tempo passato. Non resta che tornare a casa, sebbene la lotta sia ormai diventata una farsa e i figli ripetano i comportamenti dei padri: i discorsi carbonari sono competenza dei maschietti seduti intorno a un tavolo, mentre alla donna non resta che far la spesa, lavare i piatti e ricoprire il ruolo di segretaria della causa rivoluzionaria. Lo stesso pittore sembra destinato a rientrare nelle meccaniche di quella borghesia che ha combattuto e dalla quale proviene, sebbene voglia preservare una propria autonomia intellettuale e cercare nell’arte una sintassi alternativa al linguaggio della comunicazione di massa. Il sogno è sfiorito, la grazia è insostenibile nella realtà e la visione perduta è destinata ad annientarsi, a bruciare, per poi tornare luminosa nell’unica dimensione possibile, quella eterea dell’opera d’arte.