lcaterra-quattrini-impenetrable-295In sottotraccia scorre il tema misteriosissimo di tanto teatro tragico greco, quello della predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri. Un tema che investe tanto la dimensione intima, personale, quanto quella collettiva, generazionale. E «non importa», come scriveva Pasolini, «se i figli sono buoni, innocenti, pii: se i loro padri hanno peccato, essi devono essere puniti. È il coro che si dichiara depositario di tale verità». E la colpa è stata di credere che la storia neocolonialista, liberista fosse l'unica storia possibile; che la povertà fosse un male assoluto. È stato il trionfo dell'assolutismo consumista, dei meccanismi di mercificazione attraverso i quali il modello capitalista è diventato l'unico riferimento possibile.
Un dato di fatto; un dato perverso. Quello contro cui è costretto a scontrarsi Daniele Incalaterra, che ritrovatosi in eredità 5.000 ettari di foresta vergine in Paraguay, acquistati dal padre sotto la dittatura di Alfredo Stroessner, decide di restituirli al popolo originario, i Guarnì.


La longa manus del sistema liberista ha ridisegnato il territorio trasformandolo in una scacchiera che è il risultato di una logica rivolta unicamente al conseguimento del profitto indiscriminato. Rendere a chi ne ha diritto quanto sottrattogli dalla violenza di regime è tanto nobile quanto naive. I nativi completamente inermi se costretti a fronteggiare gli interessi dei grandi latifondisti collusi con le amministrazioni politiche sarebbero nuovamente bersaglio di voracità predatorie. Incalcaterra comincia a comprendere il flusso di potere all'interno del sistema sociale proprio nel momento in cui si trova ad intertloquire con quel sistema, cercando di fargli accettare una proposta per questo inconcepibile in quanto completamente estranea al proprio universo di valori. L'unica soluzione dunque è quella del compromesso; cercare di piegare le logiche di mercificazione alle proprie esigenze.


Il lavoro di Incalcaterra, affiancato in regia da Fausta Quattrini, è efficacissimo nel restituirci l'impotenza di chi si trova, sempre nel rispetto dello stato di diritto, a cercare di scardinare gli interessi di un sistema di sfruttamento largamante denunciato e condannato, ma quasi mai realmente fronteggiato. L'autore, mettendosi in gioco in prima persona, ci appare perso nella ragnatela di una soffocante organizzazione kafkiana, della quale non riesce mai a vedere il vero volto; un "castello" di carte che sussurra, bisbiglia, fruscia; guarda per spiare e controllare, un castello che assume a volte tratti antropomorfici, che è onnipresente, onnipotente, onniscente ed inconoscibile, infallibile (l'errore un tabù, l'infallibilità il dogma); "indicibile".
Si dimostra carente, invece, nel restituirci un'immagine fotograficamente forte, enfatica, di quel mondo "impenetrabile" (così, il Chaco, è stato definito dagli spagnoli all'epoca della conquista) che vorrebbe salvaguardare la terra dallo sfruttamento intensivo: solo brevissimi frame che non riescono però a imporsi con la dovuta violenza nell'occhio dello spettatore. E quello che alla fine rimane, purtroppo, è un paesaggio anonimo.

http://www.youtube.com/watch?v=Q9GVYSmpzT8