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Lido, rado via vai da primo giorno, e sole a picco sulle teste, alle due del pomeriggio, a rischio di insolazione. Squali a parte, iperbole di catastrofi, tutte insieme: una rapina (con morto), un maremoto, squali appunto, famelici, vaganti tra i reparti di un supermercato allagato; cavo ad alta tensione che sfrigola a pochi millimetri dal pelo dell’acqua; assassini appollaiati sugli scaffali, tra le merci in macerie, pronti ad accoltellare, sparare (con ghigno); e cavalcata improvvisa di ragni pazzi dai condotti di areazione; insomma, tutta una casistica e un bestiario (in cui non mancano serpenti d’acqua) nell’acquario di sagome animate, pupazzi straripanti, che è Bait 3D di Kimble Rendall; a parte questo (rozzo) baraccone di divertimento, la cosa migliore vista finora in questa Mostra è il capolavoro di Michael Cimino, I cancelli del cielo, nella versione integrale di quasi quattro ore, che ridà sostanza a quell’epica dell’America violenta e sentimentale, come inscatolata invece (ma in qualche modo affiorante ancora) nella versione passata nel 1980 nelle sale. Dissertazione straordinaria non già limitata al contesto storico di riferimento (il versante nord-orientale degli Stati Uniti, proiettato verso l’ovest, tra il 1875 e il 1903), bensì pienamente calzante con il contemporaneo, con l’appannaggio, come si sa, delle borghesie abbienti (senza meriti, se non quello dell’appropriazione indebita) a discapito di maggioranze affamate (senza demeriti, che non siano quelli relativi al biologico germinare, come sempre).


Nell’affresco sanguinoso e struggente dipinto da Cimino (con tinte crepitanti e granulose) emerge l’origine del liberismo (fascismo) di stato (di cui è bellissima metafora la lotta tra miseri galli da combattimento, che s’ammazzano per niente), fomentato dal facile armamentario in dotazione ad esercito, proprietari, parlamentari (apologia della collusione americana, armata, capitalista); ed è semplice, da lì, arrivare non solo al (mediocre) Superstar di Giannoli, ma, nell’interscambio tra cinema e realtà che si instituisce sempre, soprattutto quando si tratti di un classico (qual è appunto il film di Cimino), anche all’orografia della politica contemporanea e, per quanto mi riguarda di più, dell’Italia montiana, repressiva e sperequativa, laddove almeno quella berlusconiana era pagliaccesca.

In effetti a Superstar mancano le fondamenta, proprio la terra, la lotta per la terra, manca cioè la questione delle risorse e della sopravvivenza, quella pecunia (dal pecus) di cui le bestie rubate e macellate, ambite, computate, cavalcate, accarezzate nei Cancelli del cielo, sono proiezione. Problema fondamentale dunque (identificazione del necessario per le masse a fronte del superfluo sciorinato dalle minoranze finanziarie), completamente eluso da Giannoli, in nome di qualche intuizione che aiuta la risata, e di un lieto fine amoroso, peraltro tanto lontano dallo spirito cinico di quel Quinto potere che, nonostante risalga al ‘75, dice molto di più sulla televisione e sui massmedia.