Nicola Curzio

Dopo aver prestato il corpo a Jonathan Glazer (Under the Skin) e la voce a Spike Jonze (Her), Scarlett Johansson si immerge in un'altra produzione sci-fi, questa volta inquadrabile nel genere action, seppur vissuto alla maniera di Luc Besson, con una buona dose di umorismo da un lato, e di momenti esistenziali dall’altro. Lucy è l’ultima eroina del cineasta francese cui è affidato il compito di inaugurare la 67a edizione del Festival del Film di Locarno e di stregare il pubblico della Piazza Grande.

La storia narrata è semplice: una ragazza, per ragioni che prescindono dalla sua volontà, assume una sostanza stupefacente che porterà le sue facoltà intellettuali a svilupparsi oltre misura. Ed è proprio rispetto a questa eccedenza, a questo superamento vertiginoso dei limiti e delle possibilità umane che il film merita forse di essere considerato, inserendosi in una corrente cinematografica che negli ultimi anni, mi pare, sta prendendo forma: penso a titoli come Limitless di Neil Burger (che per la verità con Lucy condivide anche una vicenda piuttosto simile) o a Flight di Robert Zemeckis, cioè a film che lavorano sul corpo drogato o alterato del protagonista e seguono questa sua continua mutazione, sovraccaricandosi e crescendo esageratamente fino all’implosione finale.

Al potenziamento delle capacità cognitive di Lucy corrisponde un disfacimento, un progressivo divenire immateriale, che le permetterà al termine di questo processo di essere ovunque e di muoversi nel tempo, realizzando così l’utopico desiderio di una conoscenza totale (tema condiviso ancora con il film di Burger, ma riscontrabile anche in pellicole di ben diversa fattura come, ad esempio, Un’altra giovinezza di Francis Ford Coppola). Scomparendo e divenendo “tutto”, in un gesto sacrificale non poi così lontano da quello compiuto da Giovanna d’Arco, Lucy indica all’uomo la strada per tornare a percepire il mondo. Intanto Besson (si) diverte col suo giocattolo preferito, il cinema.