Giampiero Raganelli

sangueUn'agenzia viaggi dalla saracinesca serrata, rifiuti, macerie, muri sbrecciati, palazzi contraffortati, transenne. Pippo Delbono torna a L'Aquila, città fantasma, città martoriata dal terremoto, mai ricostruita nonostante le promesse dei politici. L'Aquila, metafora dell'Italia, in cui Delbono aveva ambientato alcune sequenze del suo precedente lavoro, Amore carne, che precedevano il sisma, serve a incorniciare le situazioni dell'ultimo film del regista, Sangue.


L'opera artistica di Pippo Delbono è sospesa tra teatro e cinema. In questo caso il secondo diventa il prolungamento del primo. Il teatro, in Sangue, assume il ruolo di generatore di storie, interviene nella realtà; il cinema nasce dalle pieghe del teatro, da cui parte, fungendo da diario per il regista, sempre inteso a registrare quello che lo circonda e gli succede con la sua telecamerina d'ordinanza. Proprio durante le repliche della sua Cavalleria rusticana al San Carlo di Napoli, Delbono incontra quello che è il coprotagonista di Sangue, Giovanni Senzani, ex brigatista, che ha finito di scontare la pena, coinvolto negli episodi più torbidi e inquietanti degli anni di piombo come l'uccisione del fratello di Patrizio Peci. L'incontro è in quella stessa Napoli dove si compì il sequestro di Ciro Cirillo, proprio organizzato da Senzani. Al teatro comunque si ritorna anche nel ricordare, nei racconti alla madre, lo spettacolo La rabbia.

L'arte di Delbono, tanto il cinema quanto il teatro, è un contenitore di opposti, di istanze che confliggono dialetticamente producendo senso, con un effetto di montaggio eisensteiniano. Delbono è riuscito a mettere insieme Frank Zappa e Sarah Kane nello spettacolo Gente di plastica, Pasolini e Raffaella Carrà in La rabbia. Così funziona Sangue, con la sua fitta rete di parallelismi e simmetrie/asimmetrie: la fede religiosa, il comunismo, la morte di Anna, la moglie di Senzani, e di Margherita, la madre di Pippo, i funerali della madre e del brigatista Prospero Gallinari, dove nel corteo c'è chi usa l'ipad.

Affrontare la morte in primo piano, guardarla in faccia. Come aveva fatto il fotografo giapponese Araki Nobuyoshi con la moglie, così Pippo Delbono registra e documenta il progressivo disfacimento fisico della madre, la sua lenta agonia fino alla sua dipartita in un letto d'ospedale. La madre che già era comparsa in Amore carne, partecipazione che le era valsa l'inserimento, come attrice, nei database di cinema (dove pure ora, con un involonario senso demenziale e grottesco, viene qualificata nel modo seguente: «La sua principale attività nel mondo del cinema è quella di interprete e tra i lavori più interessanti possiamo citare la partecipazione nel film Sangue (2013) di Pippo Delbono»).

La soglia del scivolamento nella pornografia dei sentimenti è dietro l'angolo ma Delbono non ci cade mai, e qui sta la sua forza straordinaria, nella sua estrema sincerità, nel suo mettersi a nudo. Anche nei suoi, piccoli, aspetti antipatici come quando rimprovera il povero tassista albanese. E così è il lungo indugiare nella camera ardente, cui segue il racconto, agghiacciante, di Senzani sull'uccisione di Roberto Peci. La telecamera di Delbono scruta il volto dell'ex brigatista. È una camera senza filtri, senza sovrastrutture, senza orpelli fotografici. Con la sua sgrammaticatura cinematografica, Delbono genera un cortocircuito emotivo.