Giampiero Raganelli

rosso cenereUn ritorno a “Stromboli”, inteso sia come l'isola sia come l'omonimo film di Rossellini del 1950. Una terra estrema, un territorio roccioso, impervio, dalla vegetazione rada, dove la parte antropizzata è il risultato dell'operosità secolare dei suoi abitanti (che nel film era evidente nella scena della tonnara), che sono riusciti a ritagliarsi una porzione vivibile, lottando e imparando a convivere con la forza imperiosa della natura.


Una natura rappresentata dall'imponenza del vulcano, dai suoi lapilli e dal fumo, che sgorgano costantemente, e dalle sue periodiche eruzioni. Un paesaggio verticale, aspro e desolato, reso da Rossellini nella celebre scena della fuga di Karin-Ingrid Bergman a Ginostra, nell'altro estremo dell'isola. Una dimensione insulare, una condizione geografica di isolamento, che per Karin assumeva un senso di prigionia, anche in senso darwiniano (nel film si sottolinea come nell'isola vivano due specie di lucertola uniche al mondo) che ha portato allo sviluppo di una natura e una cultura, tra loro in simbiosi, peculiari. E un paesaggio antropico mediterraneo, fatto di casette bianche circondate da cactus e fichi d'India, dove le capre pascolano libere, dove le ginestre virano il paesaggio di giallo quando sono fiorite. E tornare a Stromboli oggi, sessant'anni dopo Rossellini, significa trovare un paesaggio naturale ormai ferito dai transatlatici che solcano il mare.

In un momento dominato dalla piattezza dei documentari sul cinema, realizzati per riempire gli extra di dvd e blu-ray, Augusto Contento e Adriano Aprà vanno ben oltre, alla ricerca di quello che Rossellini ha trovato e riportato dell'isola di Stromboli e di ciò che il film ha lasciato sull'isola, dei testimoni che hanno vissuto la lavorazione del film. Come l'anziano isolano che pianta alberi, in un territorio dove non crescono spontaneamente, pensando alle generazioni future che, solo loro, potranno vederli cresciuti e imponenti, così Rossellini ha piantato qualcosa sull'isola, di cui ancora si possono cogliere i frutti. Qualcuno degli intervistati sottolinea infatti come l'uscita del film abbia rappresentato l'inizio della notorietà dell'isola. E le storie dei personaggi odierni, colte nel film, di unioni e matrimoni tra isolani e stranieri (la guida ha addirittura una moglie australiana), sembrano ripercorrere quella di Karin, profuga lituana che ha sposato l'isolano Antonio. La storia si perpetua in una convivenza che comporta il capire la cultura e le abitudini degli isolani, come spiega la ragazza siciliana che vi ha trovato lavoro come receptionist. Un contrasto tra progresso e tradizione, tra natura e cultura che ancora permane nell'isola.

Gli autori del film fanno uso di materiali video di repertorio, frammisti alle immagini girate ora, ex novo: naturalmente quelle del film di Rossellini, ma anche quelle dai documentari di Vittorio De Seta nelle Eolie e gli home movie realizzati dalla stessa Bergman durante la lavorazione del film. Così la scena, per esempio, del furetto che azzanna il coniglietto, che inorridisce Karin, simbolo della violenza della natura, ma in questo caso di una natura imbrigliata e scatenata dall'uomo, è vista prima come nel film e poi nel suo making off. Rosso cenere è così un flusso di immagini di definizione e formati diversi. Dal bianco e nero del film del 1950, alla sgranatura e ai colori scialbi dei filmini della Bergman, ai colori pastello di De Seta, all'alta definizione delle riprese in digitale, dallo scope all'1:33, al leggero effetto fuori quadro, un errore squisitamente da pellicola, dei filmati della Bergman. Da un lato si tratta di un rigore anche questo raro al giorno d'oggi dove il formato verrebbe omologato anche a costo di deformare il quadro, ma dall'altro lato una stratificazione di immagini e di cinemi.