Giona A. Nazzaro

altUn viaggio nel tempo sotto mentite spoglie. S’inizia in macchina, nel traffico di Bucarest, città dall’altissimo tasso di traffico. Costi (Toma Cuzi) è ingoiato da un ingorgo, che resta fuori campo, assieme al figlio che è andato a prendere a scuola.





La prima inquadratura del film di Corneliu Porumboiu non lascia dubbi. Vivere oggi in Romania non è facile. Le promesse della rivoluzione dell’89 sono dimenticate da un pezzo. A casa Costi legge al figlio le avventure di Robin Hood. Sì, ci vorrebbe un eroe, per scappare da quattro mura opprimenti e da un futuro che promette malissimo. La lettura della buonanotte è interrotta da una scampanellata. È Adrian (Adrian Purcarescu), il vicino di casa, che chiede un prestito. 800 euro, ma potrebbe farcela anche con 700. Deve alla banca l’esorbitante cifra di 79.000 euro maturata a causa di un tasso di interessi al 13%. Costi ascolta con educata pazienza ma rifiuta di prestare soldi al vicino il quale ritorna alla carica un attimo dopo. Sembra che nel giardino antistante la casa paterna, sia sepolto un tesoro. I genitori speravano così di tenerlo lontano dalle grinfie di Ceaucescu. I soldi del prestito gli servono per noleggiare un metal detector.

Basta poco a Porumboiu per incrinare la letale piattezza del quotidiano. Come ai tempi dei romanzi d’appendice, la promessa di un tesoro attiva il desiderio di un riscatto. La ricerca della tesoro è come spostasse all’indietro le lancette della storia. Porumboiu rovescia ironicamente quella nostalgia che i tedeschi chiamano “Ost-algie” (il rimpianto per il blocco sovietico), offrendo una versione parodica della possibilità di realizzare un altro destino. Dominato da ambienti chiusi (l’auto, l’appartamento, l’ufficio) il regista filma un mondo senza orizzonti che si apre solo quando i protagonisti giungono sul terreno dove sarebbe sepolto il tesoro. Si passa così ad impassibili piani sequenza. Quasi una reinvenzione al ralenti della slapstick comedy dove però, nonostante si scavi una buca, nessuno ci cade mai dentro. E scavando, si arretra sempre di più nel tempo.

La polemica politica di Porumboiu è lucida. La storia è finita. Anche chi vorrebbe andare avanti, non fa altro che muoversi a ritroso. Atroce beffa di una storia giunta alla fine di se stessa. Thomas Heise in Material lo dichiara: la storia è un mucchio (di rovine) e non una retta lungo la quale s’intravedono le sorti magnifiche e progressive. Quando finalmente il tesoro è riportato alla luce, la sorpresa è enorme: azioni della Mercedes del 1969. Come dire che il futuro, il futuro tedesco dell’Europa, era già scritto “ieri”. Il viaggio nel tempo e nelle speranze conduce beffardamente solo al presente attraverso un detour impensabile.

Quando Costi mostra il tesoro al figlio, la delusione del bambino è inconsolabile. I veri tesori sono gioielli e diamanti non pezzi di carta (anche se sul mercato dei collezionisti viaggiano al prezzo astronomico di 15.975 euro l’uno). Con un colpo d’ala, Costi decide quindi che il tesoro deve essere, almeno per una volta, un vero tesoro. Di quelli che farebbero gola anche a Gollum. Ne va della felicità di suo figlio. Così, dopo un colpo di scena che non si rivela, un dolly vola in alto verso un livido e abbagliante sole dell’avvenire davanti al quale si ferma quasi in un atteggiamento di sfida. Poi partono le note minacciose e marziali dei Laibach che intonano Live is Life: «Nananana. Quando tutti diamo il meglio, non pensare al resto. Avrete tutto il potere e tutto il meglio. Nananana».

Il futuro si è realizzato. E non è bello. Splendida e amara commedia surreale, Comoara evidenzia il tocco magistrale e il controllo mai autoritario della materia da parte di Corneliu Porumboiu che coglie con leggerezza e amarezza keatoniana il capolinea del neoliberismo.