altInizia e finisce con due proposte di matrimonio e due impiccagioni il secondo lungometraggio da regista di Tommy Lee Jones The Homesman ed è ambientato nel Nebraska inospitale del 1854. Lo attraversano un uomo e una donna, mal assortiti compagni di un viaggio nato per portare in salvo, nell’Est della civiltà, tre donne. Sono impazzite improvvisamente, disorientate dalla durezza di un territorio selvaggio e rigido. In realtà Mary Bee Cuddy parte sola, ma incontra George Briggs con un cappio al collo e lo salva. Vagabondo solitario con bisogno di soldi, aveva occupato una casa di altri e per questo era stato punito.


Tommy Lee Jones sceglie un genere antico per metterlo a soqquadro e, con la sua bravura da attore, si affida ai suoi personaggi per parlarci del cinema che ha in mente. Il paesaggio, il silenzio, una casa dove tornare e da dove partire, il deserto ruvido che contagia i caratteri, il vento, la neve, gli animali, gli indiani pacifici che corrono dietro a un cavallo. Le parole sono sempre poche e comunque non bastano. Anzi, sono sempre un po’ troppo o un po’ troppo poco, in questo film il cui racconto, all’inizio, è lineare e asciutto. Talvolta saturo di una classicità moderna. Ma presto si innestano i cortocircuiti, quelle deviazioni che ne fanno un testo insolitamente “fuori tempo”. Non solo perché il western, annunciato dalle prime evocative immagini (ancora una volta Sentieri Selvaggi e la porta che si spalanca verso l’esterno), sfugge via via, ma anche per la traiettoria di una storia che disattende sempre le aspettative. Brillante susseguirsi di gesti “inopportuni” che di fatto mancano il tempo, si insinuano nei momenti sbagliati e diventano essi stessi falsi movimenti. Come quando la coraggiosa Mary Bee Cuddy chiede al suo ospite di sposarla. Discorso che ripeterà al compagno di viaggio. È ruvida, le hanno detto, ma ha una casa da offrire all’uomo che vorrà stare con lei. Rifiutata, si impicca ad un albero, e sarà proprio George a trovarla e a rimpiangerla subito dopo. Troppo tardi, però. Anche per la lapide di legno che si farà costruire e intagliare in città, in Iowa. E sarà tardi anche lì. Ormai non lo aspettavano neppure più, con il suo carico di donne folli da far rinsavire. Ed è tardi per i suoi abiti nuovi, per le scarpe donate ad una camerierina sedicenne che vuole andare nel west, ma cammina scalza. Tardi per le lacrime e per la sua trasformazione. Non c’è più tempo per cambiare faccia. Non si può neppure tornare indietro di un passo. La vita è fatta di cose da dimenticare e simboli da lasciar galleggiare nel fiume. Una bottiglia di whisky e un ballo sulla zattera. L’espressione cambia di nuovo, è il vecchio George, bugiardo e noncurante, che prosegue il suo viaggio di sempre. Forse lo ritroveremo con un cappio al collo a ricominciare la sua vita, ancora fuori tempo.