paradise_loveAncora un film canicolare per Ulrich Seidl, un ritorno a quel caldo torrido e soffocante che intorbidava la vita e i comportamenti dei personaggi del film che ha fatto conoscere il regista austriaco nel 2001. Nel raccontare di quattro attempate “tardone” austriache e del loro viaggio in Kenya, il regista trasferisce così in Africa la sua poetica ed estetica. Già il prologo del film, in Austria prima della partenza, ripropone quella stessa luminosità estiva, afosa, che in quel paese si registra solo pochi giorni all’anno. E il clima torrido è palpabile per tutto il film, reso da tanti elementi visivi come i vestiti impregnati di sudore.


Lo sguardo di Seidl è quanto mai cinico e impietoso nel disegnare quegli interni algidi, quei colori pastello propri di un’estetica borghese. E l’apice di questa raffigurazione si ha nelle scene del resort in Kenya. Ridicole orchestrine che perpetuano un’idea stereotipata dell’Africa mentre l’accoglienza dei turisti scesi dal pullman viene accompagnata da danze tradizionali a uso e consumo dei visitatori bianchi. Ma la punta del grottesco si tocca quando Seidl mostra l’addetto alla fionda, un particolare funzionario il cui scopo è quello di colpire, per respingerle, le scimmiette che si avvicinano troppo ai balconi dei lussuosi appartamenti. E nella successiva scena con le bestiole, Seidl enuncia quello che sarà il film. L’anziana donna lancia loro dei pezzi di banana come esca perché si avvicinino all’obiettivo della sua macchina fotografica. Ma queste, agilissime, le bagneranno sempre il naso, alternandosi nell’afferrare il cibo e fuggendo. È quello che succederà tra la stessa donna e i suoi partner sessuali che fingeranno di amarla e poi la lasceranno con il portafogli vuoto. Una strategia dettata da un istinto di sopravvivenza, che consiste nell’adescare le anziane turiste, far credere loro di amarle e apprezzarne, contro ogni evidenza, il corpo ormai sfiorito e senescente. E insistendo sul disinteresse delle loro azioni, salvo poi finire con il copione solito di parenti che necessitano di soldi per cure ospedaliere e via dicendo.

Non è un film sul turismo sessuale, o almeno su quello che si è soliti definire tale: le turiste hanno inizialmente un ruolo passivo nei rapporti che, solo sottilmente, si profilano come mercenari. E in generale il film traccia un’idea inedita dei rapporti tra il Nord e il Sud del mondo, dove il secondo si comporta e si mostra, scientemente e con scaltrezza, proprio come il primo vorrebbe: subordinato e pronto a soddisfare tutti i vizi del primo. Seidl manifesta questa concezione spingendo fino al baratro quel suo sessuale necrofilo fatto di corpi flaccidi e sfatti che ridicolmente cercano di mimare le performance della pornografia patinata. Una pornografia verista e neorealista, grottesca come quella di Le Roi de l'évasion di Alain Guiraudie e volendo simile anche a Monteiro, ma senza dare alcuno sfogo all’ironia. Anche i corpi dei giovani di colore non appaiono perfetti come quelli dei modelli performer a luci rosse. E Seidl gioca tutto con una sapiente progressione verso il non mostrabile, dosando gradualmente ogni infrazione del limite del non visibile, cominciando con la prima scena di sesso che si interrompe fino alla finale orgia in camera d’albergo.