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  • Nella prefazione alla Persuasione e la rettorica di Carlo Michelstaedter si legge «io lo so che parlo perchè parlo ma che non persuaderò nessuno […] o in altre parole “è pur necessario che se uno ha addentato una perfida sorba la risputi"», che dice, implica, la volontà di una resistenza umanistica, di un parlare produttivo, persuasivo, in tempi di Rettorica propagante, prevaricante (certo, la retorica, la sorba risaputa del mondo volgare, ottuso, privo di dialettica, ma non per questo non veritiera e pressante e denunciabile) e riguarda ovviamente anche quello che si può e si deve dire a proposito delle opere, delle immagini (e che oggi si fa con sempre maggiore violenza, senza argomenti, anzi con il gusto, il compiacimento di non averne, di dileggiare opere e autori, in estasi da followers), visto che sto qui proprio per dire delle immagini di D'Anolfi e Parenti.

  • C’è un’esigenza nel Suspiria di Luca Guadagnino che è piuttosto il compendio di una poetica a sé stante, semovente, e fatta di gestualità e materia esperite in forma mobile, in continuo modificarsi: un’esigenza vivida, flagrante, di spogliare il corpo per tornare al suo linguaggio, invece di coprirlo, per alludere o suggerire; e non è un caso che le danzatrici sia in Volk che nel sabba finale - lì senz’altro per comunicare la portata ancestrale, dal significato quasi pagano della danza – si muovano nude, o quasi nude, invasate come fossero delle menadi.

  • *Riprendiamo l'articolo scritto da Cannes da Cristina Piccino e uscito sul «Manifesto» del 15 maggio 2018.

    Lucia (Alba Rohrwacher) è geometra. Durante un rilevamento catastale alza l’occhio dal distanziometro e vede una donna con un velo sul capo che le si rivolge in una lingua incomprensibile. Pensa sia una rifugiata e non le fa troppo caso, ma la stranezza della situazione è chiara anche a chi non riconosce l’ebraico antico con cui la signora si è espressa.

  • A Star is Born porta inscritto già nel titolo il proprio destino di comparazione, ma anche al di là dei precedenti rifacimenti: si tratta proprio di ripensare immediatamente il film alla luce del classico, del melò, di modalità classiche di racconto cinematografico (quindi guardando soprattutto a Cukor); e di rintracciarne, per via di sviluppi e snodi narrativi, eventuali questioni teoriche, di scrittura.

  • Si dice che nel rivolgersi all’erede, Luigi XIV in punto di morte, parlasse di sé come d’un trapassato e che poi il popolo, appresa la sua morte, trasalì di gioia, danzò e cantò la fine di quel tiranno... Per evitare tumulti, il cadavere non attraversò la città, ma venne occultato per vie traverse. "Il cadavere” dice Dumas “entrando nella Basilica, non sfuggì agli insulti di quei miserabili”.

  • Autorevole scrittore di realtà umane, nonché potente fotografo delle condizioni trasformative che coinvolgono in modo equivalente arte, natura, storia e forme di vita, Mario Martone tesse un’altra delle sue tele dipinte di luci e calore umano rivoluzionario, sospesa tra la terra e il mare. Un’ultima opera che reca già nel titolo – Capri-Revolution – il senso di una sollevazione e di un desiderio ardente di cambiamento, intrisa della fermezza di puro fatto politico amalgamato allo spessore poetico essenziale dell’immagine filmica.

  • All’esterno della modesta abitazione di Earl Stone, in Illinois, sventola appesa una bandiera a stelle e strisce, nobile vessillo d’America. È il primo dettaglio a risaltare nell’inquadratura con la quale si apre il film di Clint Eastwood – non avrebbe potuto essere altrimenti – , che poco dopo non manca di rimarcare con irriverenza un veloce scambio verbale con i dipendenti messicani della sua attività di floricoltura.

  • Tutto è liquido, acqua, fluidi, pioggia; lucide e umide gocce scivolano tra le ramificazioni tese, accarezzano il fogliame e irrorano radici ben salde nel soffice terreno immerso, in una ritmica sinfonia tamburellante. Una storia misteriosa, tra le tenebre, i lamenti di piante carnivore e incubi osceni nella circolarità dei movimenti della mdp che scruta i volti e ruota intorno al corpo, alla ricerca del sé, proprio là dove il corpo appare frazionato in frammenti scomposti dell’immagine, frames in cerca di un ricongiungimento. Mostri che emergono da un maelstrom paludoso, da territori liquidi, animati da correnti agitate nelle profondità, sotto una superficie apparentemente calma e vitrea, ciò che non si vede e non si conosce spaventa, per la sua diversità e per la sua unicità.

  •  «-Perché continui a filmare?
    - Per la memoria»

    Still Recording è un atto d’amore. Il protrarsi di un’idea oltre la propria morte, in costante lotta contro la sua natura. Incrinandosi fino a spezzarsi, il vertoviano uomo con la macchina da presa erra tra le rovine di Douma alla ricerca della stasi, momento in cui la vita travalica la guerra, mostrando squarci dai quali sgorga il senso stesso del gesto-cinema.

  • Provando a decriptare l’Angelus Novus di Paul Klee, incuneandosi nel ghigno misterico, quasi leonardesco del volto sgomento, tremante davanti al marasma, Benjamin esplica la sua visione della storia: nel fatuo attendere la rigenerazione, scongiurando il dovere della testimonianza – unica redenzione possibile verso la contemplazione delle cose che ci circondano – e quindi della ricerca, acuminata e soprattutto controversa, nell’ambito delle “possibilità non date”, l’uomo-angelo viene trascinato via, sospinto dal vento e dal tempo di quegli orrori che, invece, vorrebbe stare a guardare, contemplare.

  • Gli occhi deragliano tra le nuvole in lento movimento, ne seguono gli spostamenti, con un ritmo ipnotico, come in una danza arcaica, si perdono negli spazi sconfinati, si elevano al di sopra di ciò che è terreno, spingendosi oltre, verso approdi mitologici. La visione della mdp è rapita da una natura arsa dal sole, in un bianco e nero tagliente e lancinante, echi poetici in cui il vento canta la sua canzone tra i rami degli alberi. Un incipit di una bellezza straziante, una sinfonia, armonica e sontuosa, in cui il tempo è dettato dalla natura e dalle sue sonorità.

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