risultati per tag: Mario Martone

  • Il rione Sanità, uno dei quartieri più “difficili” di Napoli, la gente del “sistema”, Il sindaco, Antonio Barracano, boss del quartiere che amministra la sua giustizia secondo criteri di ferrea equità, la sua equità, l’hip-hop di area partenopea che fa da sfondo, gli interni domestici soverchi d’ori, velluti e colonne. A considerare solo questi pochi elementi il film di Martone sembra non segnare differenza alcuna rispetto alla dilagante allure gomorriana, che ormai acriticamente, come una moda, fa da referente orientativo per la rappresentazione schermica della napolitaneità.

  • «[…] Girati, e non importa quanto lontano andrai, tornerò qui […]»

    Amir Eid, Cairokee, Ya Abyad Ya Eswed

    La tensione alla conoscenza che il processo interno alla memoria genera, inserendosi in quella che si potrebbe definire un’ontogenesi dell’immagine – e da lì diventa traccia, principio: ἀρχή, fondamento di tutte le cose – percorre tutta la poliedrica produzione di Mario Martone da molto tempo, quando già opere teatrali come I Persiani di Eschilo, rappresentata al Teatro Greco di Siracusa con musiche di Franco Battiato, erano in qualche modo il segno di una ricerca che si sarebbe fatta via via più evidente; che già allora conduceva uno studio finalizzato a restituire la forma originaria dell’oggetto rappresentato attraverso la distinzione dei tre cori, innestati sui tre pilastri espressivi del «gesto», della «parola» e della «musica» (come si evince da un’intervista del 10 aprile 1990 su Il Mattino), coerentemente con l’intento etnografico di acquisire il quadro di un popolo, per mezzo dell’arte; e che ora, con Nostalgia, unendo gli estremi di quella triade antropologica che è linguaggio, storia, dimora, contraddistingue il perpetuarsi di un ritorno, del suo dolore.

  • Autorevole scrittore di realtà umane, nonché potente fotografo delle condizioni trasformative che coinvolgono in modo equivalente arte, natura, storia e forme di vita, Mario Martone tesse un’altra delle sue tele dipinte di luci e calore umano rivoluzionario, sospesa tra la terra e il mare. Un’ultima opera che reca già nel titolo – Capri-Revolution – il senso di una sollevazione e di un desiderio ardente di cambiamento, intrisa della fermezza di puro fatto politico amalgamato allo spessore poetico essenziale dell’immagine filmica.

  • «[…] αὐτόματα δ᾽ αὐταῖς δεσμὰ διελύθη ποδῶν
    κλῇδές τ᾽ ἀνῆκαν θύρετρ᾽ ἄνευ θνητῆς χερός […]»
    (Euripide, Baccanti)
    «[…] Le catene, da sole, si sono sciolte dai loro piedi
    e le chiavi hanno dischiuso le porte senza una mano mortale […]».
    (Trad. di L. Correale)

    L’incedere del pensiero tragico, la spinta contraddittoria, multiforme, estrema verso la conoscenza in atto, che si compie a ridosso di quella montagna – stratificandosi come gli strati delle rocce calpestate, inquadrate in particolari vivissimi, dettagliati, minuti – poi sale in vetta e da lì precipita, è costitutivo di quest’ultima opera di Mario Martone, il cui sguardo si intreccia alle puntuali citazioni euripidee come a partire da lì, da quel «[…] ἴτε βάκχαι, ἴτε βάκχαι […] εἰς ὄρος εἰς ὄρος […]»(«andate Baccanti, andate Baccanti […] al monte, al monte […]», anaforicamente evidenziato anche in diversi momenti di Capri Revolution, in cui si dispiega la forza del mutamento come tragica, ineluttabile necessità: un andare che si manifesta già dal volto in primo piano della protagonista, dagli occhi sulle pietre ruvide, che è avvio alla danza conoscitiva che toglie il velo alle cose; e dal piede, che sale alle rocce, all’urlo dei gabbiani, poi al precipizio aperto dalle panoramiche mozzafiato, che spostano il movimento, mutano nella discesa dello sguardo questa tensione continua del salire, del guardare in alto ed avanti, precipitandola alla quiete del mare, ai corpi, nudi sulle pietre, pietre su pietre, confusi, fusi nella luce azzurra, estatica, dentro gli strapiombi, che non sappiamo se siano di Capri o degli occhi: vortici, neri, di Lucia.

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