Visage_2009_01L’attore feticcio di Tsai Ming Liang, Lee Kang-sheng, è diventato maturo per interpretare il ruolo del regista: all’interno del Louvre deve infatti girare un film sul mito di Salomè. Il cinema che ripensa se stesso, attraverso i fotogrammi di una memoria riflessa in una composizione magrittiana di specchi, riassume l’intenzione metacinematografica e mai risolta della visibilità di una superficie attraverso l’eccesso e la ridondanza (dalla scelta di attori famosi, ai costumi barocchi, dalle parti musicate a quelle più esplicitamente teatrali) che tolgono l’aria allo spazio, impedendo che la scena riflessa (ricordata) possa finire.

 

«da una parte troppo mare
troppo deserto dall’altra
troppe stelle visibili.»
(Ungaretti)

Spazio materiale figura e contorno in movimento; c’è tutto il cinema nella sequenza della perdita, in quell’eccesso diluito nella sovrapposizione di tre tempi, nel getto d’acqua che sfinisce il sistema organizzato, l’equilibrio degli oggetti, la giustificazione dell’unità degli organi.
1. Immagine-tempo: tra lo spazio e la figura si stabilisce un rapporto di tensione, il contorno si fa stringente, isolante.
2. Immagine-movimento: la figura galleggia nello spazio, il contorno si dilata, lo spazio si deforma.
1+2. Intermezzo-fra-immagini: la zona di sfocamento lascia emergere una pura forza senza oggetto (getto d’acqua) che dissolve la figura. Il contorno cola fuori, nello spazio agravitazionale.
Ancora il corpo, nel cinema di Tsai Ming Liang, regredisce a bozzolo, si piega e s’attorciglia fradicio in un acquario slabbrato e scompare nella residualità materica di un quadro. Un deserto d’acqua invade i piani, penetra nelle stanze, investe le cose: la lotta si persegue perché è inutile, la perdita assoluta, la mancanza d’aria inevitabile. La tensione liberata dalla fuoriuscita dentro lo spazio permette la metamorfosi della figura in un divenire-altro (medusa: testa tagliata: viso), «il viso si produce soltanto quando la testa cessa di fare parte del corpo, quando non viene più codificata dal corpo, quando essa stessa cessa di avere un codice corporeo polivoco» {Deleuze-Guattari 2006, p. 264}.

visage

Il Jet of water (Bacon, 1979) che assorbe la prospettiva è tutto concentrato in un unico fuoco: la freccia rossa è il punto di fuga, ma anche d’entrata, la “negazione” di una funzione, il recipiente vuoto che non trattiene. L’acqua entra e esce mentre la figura scompare nel riflusso, in un divenire-animale (cervo) non più umano: «il divenire-animale è solo una tappa sul cammino di un divenire impercettibilmente più profondo dove la Figura svanisce» {Deleuze 1995, p. 69}.
Nel processo di sovrapposizione tra dentro e fuori (intermezzo), sulla riva della negazione-congiunzione, si elevano le potenzialità dell’uomo (umano NON umano); il fondo attrae la forma cancellando strato dopo strato le linee d’espressione, gli occhi-buchi-neri, ogni singolo tratto, per rendere la testa asignificante, asoggettiva fragile squama avulsa dal mondo, e lasciare che risalti la visibilità del viso… Del viso disumano emergente dal buio, come il rosso punto di fuga, fuggito dal corpo attraverso quella negazione, sottratto al troppo mare, al troppo deserto che lo torceva.
Con la sparizione della figura, tutto il corpo si viseifica nel paesaggio crepuscolare pieno di perdita.
La danza di questa Salomè dalla pelle traslucida (Letitia Casta) è impedita dall’ingombrante gravità dei sette veli, congelata nello spazio plastificato di un sottosuolo lunare; mentre Erode (Jean-Pierre Léaud) fugge al ruolo impostogli dalla storia e sfonda da un altro punto di fuga aperto nel centro dell’arte (Louvre).
Se il Giovanni Battista leonardesco punta l’indice immobile al contorno nero che l’inghiotte e il volto si dissipa nel primo piano del “sorriso isterico” {Bacon 1976, p. 39} e beffardo di un viso che è sopravvissuto alla cancellazione del corpo, Erode striscia, schiacciato al suolo da una pressione invisibile, immagine-movimento nello spazio sfocato del tempo di un’anticipazione (previsione): «l’arte non è mai un fine, è soltanto uno strumento per tracciare le linee di vita, ossia tutti quei divenire reali che non si producono semplicemente nell’arte, tutte quelle fughe attive che non consistono nel fuggire nell’arte o nel rifugiarvici, quelle deterritorializzazioni positive che non si riterritorializzano sull’arte, ma la trascinano invece con sé, verso le contrade dell’asignificante, dell’asoggettivo e del senza-viso» {Deleuze-Guattari 2006, p. 285}.


BIBLIOGRAFIA

G.Deleuze, F.Guattari {2006}: Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma.

G.Deleuze {1995}: Logica della sensazione, Quodlibet, Macerata.

F.Bacon {1976}: L’art de l’impossible. Entretiens avec David Sylvester, a cura di M. Leiris e M. Peppiat, Genève, Skira.






Titolo: Visages
Anno: 2009
Altri titoli: Face
Durata: 137
Origine: TAIWAN, FRANCIA, BELGIO, OLANDA
Colore: C
Genere: COMMEDIA, DRAMMATICO
Specifiche tecniche: 35 MM (1:1.85)
Produzione: JBA PRODUCTION, HOMEGREEN FILMS, THE LOUVRE MUSEUM, TARANTULA, CIRCE FILMS, ARTE FRANCE CINÉMA, FORTISSIMO FILMS

Regia: Tsai  Ming-Hsiu     

Attori: Laetitia  Casta     (Salomé); Lee  Kang-sheng (Hsiao-Kang); Jean-Pierre  Léaud (Antoine); Fanny  Ardant; Mathieu  Amalric; Jeanne  Moreau; Nathalie  Baye; Yang  Kuei-Mei; Olivier  Martinaud; François  Rimbau; Norman  Atun; Lu  Yi-ching     
Sceneggiatura: Tsai  Ming-Hsiu     
Fotografia: Liao  Pen-jung     
Musiche: Jean-Claude  Petit     
Montaggio: Jacques  Comets     
Scenografia: Alain-Pascal  Housiaux; Patrick  Dechesne     
Costumi: Anne  Dunsford-Varenne     (Anne Dunsford); Wang  Chia Hui; Christian  Lacroix (partecipazione)

 

 

Reperibilità

Riconoscimenti

http://www.youtube.com/watch?v=_95a0uos_ik

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