Love_Exposure_S_Sono_2009_3Yu è un ragazzo che fotografa mutandine di ragazze per commettere peccati da confessare al padre, prete cattolico che ha preso i voti dopo la morte della moglie. È lo spunto da cui parte la lunga corsa di Love Exposure, vero film-exploit di Sono Sion, in cui religione, erotismo e grottesco convivono e si mescolano in vorticosa quiete.


Opera ambiziosa già dalla durata, quattro ore, peraltro il risultato di un compromesso con i produttori: il primo cut aveva la durata di circa sei ore, Sono Sion fu convinto a ridurlo a due ma il risultato non lo soddisfaceva e si è arrivati così a questa versione. Naturalmente si auspica il director’s cut. Tutto parte, come spesso succede per i film di Sono Sion, da uno spunto fornito dalla realtà: un amico del regista con l’insana passione di fare foto di mutandine di ragazze. «Non lo faceva per eccitarsi sessualmente e non si rendeva conto di fare qualcosa di sbagliato. Per lui era come fare birdwatching.» Così il protagonista del film, un ragazzo di nome Yu, è capace di fare spericolate acrobazie con le arti marziali, proprio per catturare immagini di mutandine femminili scattandole da sotto la gonna. E non lo fa per piacere personale ma per compiacere il padre, un sacerdote cattolico, commettendo così dei peccati da esporgli nel confessionale. La storia si intreccerà con l’entrata in scena di emissari di una setta fondamentalista, la Zero Church.

Love Exposure è costruito e ritmato su alcune musiche ricorrenti e ossessive, il Bolero, la settima sinfonia di Beethoven, alcune canzoni del gruppo Yura Yura Teikoku tra le quali la più ricorrente è Kūdō desu che alla fine è cantata come l’inno della Zero Church, giocando sul passaggio tra l’extradiegetico e il diegetico.
Sono Sion costruisce il film infarcendolo di citazioni dalla cultura popolare e utilizzando parodie grottesche di generi cinematografici. Centrale in questo senso è tutta la parte di addestramento, e la successiva messa in pratica, delle mosse di grande destrezza e agilità volte a carpire furtivamente le foto di mutandine femminili, che si situa tra il cinema di arti marziali, o di ninja, e Pickpocket. Ma che può essere vista come una metafora stessa del cinema. L’addestratore voyeurista insegna agli adepti l’utilizzo di una serie di attrezzature che possono essere modi di audaci riprese cinematografiche, una di queste è chiamata proprio “camera car”, e lo si vede replicare il famoso gesto di Truffaut che descrive con le mani i contorni dell’inquadratura. Yu si traveste da Miss Scorpion, personaggio della serie Sasori, film degli anni Settanta appartenenti al genere pinky violence. E con questo travestimento si genera una sorta di versione transgender della “sindrome di Lois Lane”, quel topos narrativo dei fumetti dei supereroi per cui una donna si invaghisce di un paladino in costume, di cui ignora l’identità segreta, disdegnando nel contempo la persona che si cela dietro la maschera. C’è poi il sangue che sgorga in modo esageratamente copioso dopo una menomazione come spesso in Kurosawa o nel cinema di genere nipponico.

La religione cattolica, oggetto di satira feroce, appare uno dei temi principali del film: nel cinema di Sono Sion compaiono, in maniera ossessiva, simboli religiosi cristiani, come per esempio in Cold Fish (2010). E questa sensibilità “anticattolica” torna nel cinema giapponese contemporaneo (basti citare il durissimo film The Whispering of the Gods (2005) di Ōmori Tatsushi). Nonostante la cristianità sia assimilata nella società giapponese praticamente dalla seconda metà dell’Ottocento, per Sono Sion rappresenta un elemento estraneo alla cultura tradizionale. Soprattutto viene messo alla berlina il concetto di senso di colpa, del peccato originale, di cui paradossalmente la Chiesa si alimenta e di cui ha bisogno per giustificare la sua esistenza. «Mio padre è un prete e quindi devo commettere peccati» dice Yu, costretto, per soddisfare l’ossessione del genitore, a inventare ridicole colpe da confessargli. Il senso cristiano del fardello da portare sulle spalle, che sconfina nel masochismo, è poi simboleggiato nella ricorrente scena dell’enorme crocifisso. La setta fondamentalista che il cineasta descrive ancora una volta con una connotazione grottesca, circense, con i suoi ridicoli rituali, che si finanzia con traffici di cocaina, è speculare alla Chiesa ufficiale e ne rappresenta il corrispettivo messo a nudo. Da subito si manifesta come volta a estirpare il peccato originale: è evidente che i principi siano gli stessi, solo presentati in modo diverso. Sembra che il prerequisito per farne parte sia il non avere erezioni, pena l’evirazione. Quasi tutti i personaggi del film alla fine finiranno per essere risucchiati dalla Zero Church.
Un’ulteriore chiesa, stavolta ribaltata, è rappresentata dalla compagnia di produzione di video porno Bukkake-sha, dove Yu diventa un sacerdote dei pervertiti che confessa e assolve dalle loro depravazioni più estreme. E in generale tutte le istituzioni/gruppi organizzati del film presentano le stesse caratteristiche, che vanno dall’addestramento degli adepti a una continua oscillazione tra repressione della sessualità e perversione.

La dimensione religiosa nel film si intreccia con quella della famiglia patriarcale e con la sessualità. Ai simboli religiosi si affiancano quelli fallici, con erezioni ed evirazioni. La castrazione assume un carattere religioso. Il padre, pur già incline al misticismo, arriva al sacerdozio proprio a seguito dell’assenza di una vita sessuale, dopo la morte della moglie, anche se poi non riuscirà a resistere al richiamo della carne con la sua parrocchiana. Mentre per l’adepta della setta, l’evirazione è una ribellione contro la fallocrazia del padre opprimente, anch’egli un infervorato cattolico. Infine le erezioni di Yu, anche queste parossistiche e caricaturali come in un manga, avvengono quando vede la ragazza di cui è innamorato, Yoko, che gli ricorda da subito l’immagine della statua della Madonna cui era devota la madre. E che diventerà sua sorellastra a seguito del matrimonio dei genitori. La prima di queste erezioni avviene quando lui è vestito da donna, in un rimescolamento continuo dei ruoli sessuali. Può essere il racconto dissacrante di una sessualità puberale, incestuosa ed edipica, come quella che appartiene all’universo letterario dello scrittore premio Nobel Ōe Kenzaburō che, ne Il figlio dell'Imperatore, racconta di un estremista di destra e della sua pulsione erotica verso l'Imperatore. Ma anche di una desacralizzazione del messaggio evangelico che può essere fatta propria delle nuove generazioni. Per Yoko la figura di Cristo è equiparata a quella di Kurt Cobain, l’unica figura maschile che non detesti. La sua misandria nasce dopo il tentativo di violenza da parte di un ragazzo che cita Madre Teresa, ed è segnato dalla rottura di un orologio, un elemento simbolico frequente nel cinema di Sono Sion fin dai suoi primi film sperimentali. Ma sarà proprio Yoko, sulla spiaggia, a esporre il concetto chiave del film, estratto dalla Bibbia, dalla Prima lettera di San Paolo ai Corinzi 13:13 «Così fede, speranza, amore rimangono, questi tre; ma il più grande di questi è l'amore» [singolare che nelle traduzioni classiche non rivedute della Bibbia il termine “amore” sia sostituito con “carità”]. E il tema portante dell’amore può essere distillato anche dalla filosofia della Zero Church, come una caverna platonica vuota (così lo vede Yu), un’idea in sé in un mondo senza ombre e parvenze. La religione quindi è oggetto di satira non in quanto tale ma in quanto dottrina opprimente e plagiatrice. Sono Sion riconosce una purezza di base nel messaggio cristiano e ne sottolinea gli aspetti archetipici e sincretici citando il Taketori monogatari – in una scena in cui viene spiegato a scuola –, opera letteraria del X secolo che presenta qualche assonanza con la storia di Gesù.

Il finale segnerà la liberazione catartica da ogni cultura opprimente, simboleggiata da una lunga e incessante corsa. Peraltro un richiamo alle opere sperimentali del regista ventenne, a partire da A Man’s Hanamichi (1986) in cui lo stesso Sono Sion corre nudo nel suo campus universitario. Energia, vitalità ma anche freschezza e libertà espressiva dal sapore Nouvelle Vague (come non pensare alla corsa del Louvre in Bande à part). Love Exposure, un altro romanzo di formazione di Sono Sion che torna così sui suoi stessi passi.





Titolo: Love Exposure
Anno: 2008
Titolo originale: Ai no mukidashi
Durata: 237
Origine: GIAPPONE
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: 35 MM (1:1.85)
Produzione: OMEGA PROJECT, LTD., AN ENTERTAINMENT INC., STUDIO THREE CO.

Regia: Sion Sono

Attori: Takahiro Nishijima (Yu); Hikari Mitsushima (Yoko); Sakura Andô (Koike); Hiroyuki Onoue (Takahiro); Yutaka Shimizu (Yuji); Sou Hirosawa (Kumi); Yuko Genkaku (Keiko); Mami Nakamura (Madre di Yu); Makiko Watanabe (Kaori); Atsurô Watabe (Tetsu); Tasuku Nagaoka.
Sceneggiatura: Sion Sono
Fotografia: Sôhei Tanikawa
Musiche: Tomohide Harada
Montaggio: Junichi Itô
Scenografia: Takashi Matsuzuka
Costumi: Chieko Matsumoto

Riconoscimenti

Reperibilità

http://www.youtube.com/watch?v=5Fxa5NuVrqU

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