0914-im-still-here-and-joaquin-phoenixjpg-bdf3b2ced2d13f27_largeIn un momento particolarmente felice della propria carriera, dopo i meriti riconosciutigli anche grazie alle ottime interpretazioni di Quando l’amore brucia l’anima e Two lovers, Joaquin Phoenix decide d’abbandonare la carriera d’attore. Soffocato dall’inautenticità a cui lo costringe la professione e dal mondo che ad essa gravita attorno, desidera solo rimpossessarsi della sua vita. Come? Grazie all’hip hop.




Casey Affleck ha l’espressione compiaciuta di chi, indipendentemente dagli esiti finali, è riuscito a prenderti per i fondelli. Sguardo bello e sciagurato, alquanto strafottente, che distrae e non ti fa accorgere dei suoi piedi caprini e del sentore sulfureo che lo accompagna. Eppure son convinto che, almeno per un attimo, tutti gli spettatori che l’altro anno a Venezia hanno assistito all’anteprima di I’m still here abbiano pensato di trovarsi di fronte ad un’operazione diabolica.

L’esordio registico del più giovane dei fratelli Affleck è stato presentato alla 67° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica come un documentario dedicato a Joaquin Phoenix e alla sua decisione di abbandonare il cinema. E’ il 2008. L’attore dà l’annuncio a un giornalista in occasione di uno spettacolo di beneficenza in memoria di Paul Newman. Il sogno di Joaquin è cambiare strada per ritrovar se stesso. Come? Dandosi anima e corpo alla musica hip hop.

La macchina da presa avvoltola il protagonista, lo segue con impietosa partecipazione spiralarsi in un’inarrestabile caduta verso la disfatta della propria credibilità professionale. Una spietata registrazione che non si arresta neppure di fronte alle più turpi e truci bassezze, deliri scatologici e conseguenti ritorsioni escrementizie, di cui Phoenix è prima responsabile e poi vittima.
Lo sguardo spettatoriale è attonito e un po’ incredulo nell’assistere a tanto disarmante esibizionismo. Une tranche de vie più reale del vero, e che proprio per questo lascia insinuare nel pubblico il sospetto d’essere bersaglio d’una sapiente macchinazione. Se da un lato ci si rimprovera di peccare di malizia, dall’altro non si può fare a meno di mettere in discussione la classificazione documentaristica data a questo lavoro.

Poi, a mesi di distanza, la lapidaria dichiarazione del regista che conferma d’aver realizzato un “falso d’autore”. E tutto trova la sua giusta collocazione e decifrabilità.

A cominciare dal genere. Non più docu ma mockumentary, una realtà estranea ai confini tra "fiction" e "documentario", "verità" e "menzogna", "realtà" e "finzione", dissolti in favore di un testo vertiginoso che produce, dal punto di vista della significazione, un percorso labirintico; un territorio in cui reale e immaginario si compenetrano così profondamente da renderne impossibile la separazione. Un genere impegnato a superare lo steccato, ibridando registri, sperimentando rischiosi accostamenti, che si posiziona studiatamente controcorrente per solcare nuovi territori.

Poi l’interpretazione di Joaquin Phoenix che si rivela essere una verbosa, narcisistica, incontinente, ma affascinante riflessione sul corpo dell’attore. In I’m still here Phoenix lavora attorno al concetto di physique du rôle, alla lettera corpo del ruolo. A monte sembra esserci la domanda: «di chi è il corpo dell’attore?» Se non si pensa, banalmente, il corpo come fatto solo di muscoli, ossa e carne, ma anche di posture, atteggiamenti, gesti, reazioni, si noterà che persino il nostro corpo di uomini comuni non è più del tutto nostro: è anche della cultura, del ruolo sociale. E l’attore si definisce per sovrappiù rispetto all’uomo comune, in lui c’è tutto un bagaglio di sentimenti, emozioni, reazioni psico-fisiche lasciategli dai ruoli interpretati, che hanno dato forma al suo doppio scenico. Ed è proprio questo che Phoenix esibisce senza remore.


E poi il senso dell’operazione messa in atto da Affleck. Un’interessante lavoro di destrutturazione interna dei “mondi” mass-mediologici americani. In I’m still here c’è la manipolazione studiata a tavolino dell’industria dello spettacolo statunitense, letteralmente sfruttata, in modo inconsapevole, per la realizzazione del film, che in larga parte è costruito sulle reazioni del mondo dello show business messo di fronte all’apparente deriva di Phoenix. I’m still here nella sua costruzione finzionale propone con una assoluta veridicità l’imbarazzo e l’incapacità della società dello spettacolo nel gestire una propria cellula impazzita. Solita vampirizzare le proprie creature, sfruttandone l’immagine e il nome per fini eminentemente commerciali, viene qui messa a nudo facendogli subire il medesimo trattamento.






Titolo: I'm Still here
Anno: 2010
Durata: 108
Origine: USA
Colore: C
Genere: DOCUMENTARIO
Specifiche tecniche: HD
Produzione: WILLIAM MORRIS ENDEAVOR (WME) ENTERTAINMENT

Regia: Casey Affleck, Tom Blomquist

Attori (ognuno nel ruolo di se stesso):Joaquin Phoenix, Geoff Koch, Kellie Coffey, Wayne Kirkpatrick, Carolyn Dawn Johnson, Linda Raine, Louise Juszkiewicz, Judy Stakee, John Anderlie, Shawn Pennington, Karen Bloom, Robin Stombaugh, Dana Williams, Shaye Smith, Craig Krolicki, Steven Curtis, Billy Kirsch, Shane Tarleton, Anne Schilling (Narratrice)
Sceneggiatura: Tom Blomquist
Fotografia: Jack Anderson
Montaggio: Peggy Eghbalian, Dana Shockley
Effetti: Wildfire Visual Effects

Reperibilità

Riconoscimenti

http://www.youtube.com/watch?v=wz6CU7pgiKc

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