white_materialIn un paese dell’Africa centrale, l’esercito regolare si appresta a ristabilire l’ordine in seguito alla rivolta popolare capeggiata da un ufficiale ribelle, soprannominato “le boxeur” (il pugile). Tutti i cittadini occidentali fuggono via, allarmati dal pericolo di un’imminente guerra civile.La francese Maria Vial, la cui famiglia possiede una coltivazione di caffè da tre generazioni, non ascolta le raccomandazioni del governo locale e decide invece di restare. Non ha intenzione di rinunciare al raccolto della stagione.


Una donna bianca (Isabelle Huppert), sola in mezzo alle radure di una non meglio identificata regione africana, scappa. Non si sa da chi e da che cosa. Un elicottero della guardia nazionale l’esorta ad abbandonare il posto, ma lei non si arrende e “maledice” la sua stessa razza: «sporchi bianchi, non meritate questa terra!».
Inizia così White Material, decimo lungometraggio di Claire Denis, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia del 2009, il cui titolo si riferisce da una parte ai semi non lavorati del caffè prima della tostatura e, dall'altra al termine dispregiativo con cui i ribelli si rivolgono agli europei. Ed in questo incipit, sfuggente e volutamente cinico, è racchiuso forse il senso di tutta questa storia, l’ennesima ambientata dalla regista francese nel Continente Nero, dopo Chocolat (1988), Man No Run (1989) e Al diavolo la morte (1990).

Da una parte, la minaccia di qualcosa che, col tempo, si fa sempre più concreta ed incombente, che serpeggia come un animale selvatico nella savana. Dall’altra, la cieca e ossessiva ostinazione di un personaggio, disposto a sfidare le autorità militari, la popolazione locale e perfino i suoi cari, in nome di una (personalistica) causa “libertaria”, che presto si trasforma in liberticida. Brucino pure le carcasse umane ai bordi della strada, accatastate una sopra l’altra. «Perdere un raccolto è peggio di un incendio!» - dice la donna.
Due anime di un unico territorio, martoriato da anni di barbaro sfruttamento e che entrambe reclamano come proprio. Due forze contrapposte, ma entrambe votate alla prepotenza e alla violenza, si scontrano con orgoglio sullo sfondo di una natura bellissima e tragicamente complice.

È attraverso il contrasto con i luoghi, quegli stessi luoghi in cui la Denis ha trascorso la sua infanzia (Camerun, Burkina Faso e Gibuti), che emerge la solitudine e il progressivo isolamento delle sue genti autoctone e non, costrette a vivere nell’invisibilità perché incapaci di comunicare fra loro. Qui fallisce quel processo di creolizzazione del mondo che il teorico Édouard Glissant pone alla base della cosiddetta “Poetica della relazione”.
Ancora una volta la cineasta parigina, memore della lezione di uno dei suoi maestri, Wim Wenders, poeta dei moderni spazi e paesaggi cinematografici, realizza una cartografia delle differenti identità culturali. Come Nadine Gordimer o Doris Lessing (al cui romanzo L’erba canta si è proprio ispirata per il film), l’autrice scava a fondo nella sua biografia per raccontare i conflitti etnici ed interrazziali.
Ma non solo. Perché nell’Africa post-coloniale gravano, soprattutto sulle nuove generazioni, pesanti eredità. L’orribile piaga dei bambini-soldato è il risultato di un lungo e sedimentato odio nei confronti dell’oppressore. Esiste però l’altra faccia della medaglia: la vendetta e, in particolare, il senso di colpa animano infatti anche il bianco.

Questi due sentimenti contraddittori albergano nel “cuore di tenebra” di Manuel, il figlio indolente e problematico dei Vial. Dopo essere stato colpito ed umiliato da un gruppo di piccoli guerriglieri (lo lasciano nudo in mezzo ad una piantagione), lui torna a casa e si rasa i capelli a zero. Quasi a volersi offrire come vittima immolata, a risarcimento degli errori compiuti dai suoi “padri”, va incontro ad una inevitabile morte.
Ma prima appunto, attraverso il particolare della testa glabra, vuole rivendicare, per l’ultima volta, la purezza e la superiorità di una razza, che ancora non riesce a fare i conti col proprio passato e per questo è destinata alla sconfitta, all’autodistruzione. Manuel è l’emblema di una civiltà (quella occidentale) che misura la propria debolezza con la forza, regredendo allo stato animale.

E abbandona la via della ragione per incamminarsi sul periglioso sentiero della follia.
Dietro la pagina di denuncia sociale, traspare un dramma familiare dalle dinamiche irrisolte. Al cui centro troviamo la figura di Maria, che la mdp segue passo dopo passo nelle sue temerarie strategie di sopravvivenza. Per interpretare questa parte la Huppert attinge con efficacia ad un repertorio di maschere dal volto impassibile e minate dal tarlo dello squilibrio mentale. L’intensità della sua prova, poi, non può non ricordarci il suo ruolo di madre-coraggio ne Il tempo dei lupi di Haneke.
White Material riscatta una sceneggiatura lacunosa e a tratti oscura (l’uso di continui flashback toglie fluidità alla narrazione) grazie proprio alla sua tragica eroina. L’attrice francese, con la sua presenza totalizzante, finisce per entrare addirittura in competizione con l’ambiente maestoso della savana. E la sanguigna scommessa con il destino del suo personaggio contribuisce a rendere meno astratta e soporifera l’atmosfera generale del film, che risente purtroppo di tempi eccessivamente dilatati.





Titolo
: White Material
Anno
: 2008
Durata
:100
Origine
: FRANCIA
Colore
: C
Genere
: DRAMMATICO
Specifiche tecniche
: 35 MM
Tratto dal romanzo "L'erba canta" di di Doris Lessing (La Tartaruga edizioni)
Produzione
: WHY NOT PRODUCTIONS, FRANCE 3 CINEMA, WILD BUNCH, LES FILMS TERRE AFRICAINE

Regia
: Claire Denis

Attori
: Isabelle Huppert (Maria); Christopher Lambert (André); Nicolas Duvauchelle (Manuel); Isaach de Bankolé (Ufficiale); Adèle Ado (Lucie); Michel Subor (Vecchio); William Nadylam (Sceriffo); David Gozlan
Soggetto
: Doris Lessing (romanzo)
Sceneggiatura
: Claire Denis; Marie NDiaye (Marie N'Diaye)
Fotografia
: Yves Cape
Musiche
: Stuart Staples (Stuart S. Staples); Canzoni dei Tindersticks
Montaggio
: Guy Lecorne
Scenografia
: Abiassi Saint-Père; Alain Veissier
Costumi
: Judy Shrewsbury

Riconoscimenti

Reperibilità

http://www.youtube.com/watch?v=OKzFi39XHI8

 

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