une-vie-meilleure-festival-roma-2011.gifParigi. Yann è un cuoco ambizioso a cui sta stretto il lavoro alla mensa. Nadia è una cameriera di origine libanese con un figlio di 9 anni, Slimane. Quando i due si incontrano decidono di mettere su un’attività in proprio: un ristorante. Grazie ad un prestito, credono di aver coronato il loro sogno. Ma il locale non è a norma e, per aprirlo al pubblico, hanno bisogno di ulteriore denaro che non posseggono. Nadia parte per il Canada, dove le hanno promesso un altro lavoro. Mentre Yann rimane a Parigi a prendersi cura del bambino, arrangiandosi come può.


(Il film è stato presentato in concorso alla VI edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, dove ha ottenuto il premio per la migliore interpretazione maschile a Guillame Canet).

Cèdric Kahn è uno che va subito al sodo: un incontro fortuito tra due giovani solitudini metropolitane (lui è cresciuto in una casa famiglia, lei è stata abbandonata dal marito); la scoperta altrettanto fortuita di un vecchio casolare sperduto in un bosco, vicino al lago; un progetto di vita comune. Da edificare. Da difendere.
Al regista francese sono sufficienti pochi passaggi narrativi per sigillare un momento (transitorio) di felicità. Condivisa, attesa, conquistata col sudore. Fenomenologia del reale - direbbero i fratelli Dardenne. L’apparente equilibrio umano-sentimentale-professionale raggiunto dalla coppia, la loro prospettiva di mondo lontana dal sordido clangore della città e dalle logiche di padronato, vengono man mano a sfaldarsi. Dopo l’idillica cornice iniziale, amore, speranza, desideri e sacrifici sembrano sbriciolarsi in un nonnulla sotto i colpi dei falchi-creditori.

In Une vie meilleure, l’impaginazione filmica è franta, procede per segmenti brevi, essenziali, che si accendono e si spengono come fossero abbaglianti. In un’eterna notte, fra gli sporchi periferici arrondisment parigini. Kahn, col suo sguardo nervoso, epidermico, ha la capacità di farci percepire, ad ogni scena, l’accumularsi progressivo di tensione. Quella tensione che sottopelle lavora Yann in un crescendo di rabbia, frustrazione e impotenza. Guillaume Canet è un corpo vitale, esacerbato, in cui fluisce un’energia compressa e silenziosa.

Per pagare l’acconto del mutuo, il ragazzo riesce a raccogliere la somma grazie a ben sei prestiti paralleli (i cosiddetti revolving credits, dagli altissimi tassi d’interesse): mannaie fatali, punto di non ritorno, se non all’inferno, di un labirintico viaggio fra le maglie impazzite della finanza, e della burocrazia (l’improvvisato padre di Slimane deve anche fronteggiare le pressioni dell’assistente sociale). Una spirale viziosa che costringe a ri-cominciare da capo, a scendere fino all’ultimo gradino della scala: il cuoco arriva a vendere a domicilio i viveri rubati dalla mensa dove lavora.

Che senso ha parlare ancora di impresa, di iniziativa individuale, se poi queste finiscono per essere soffocate dal vortice tritatutto dei circuiti bancari? Ma il libero mercato non era stato pensato per dare all’uomo la possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita? Oggi, purtroppo, accade il contrario: è diventato una feroce macchina per impoverire ulteriormente i disagiati.

Il protagonista, testardo ed orgoglioso, non svende mai la sua dignità, pur sbattendo il muso contro la sfiducia dei consulenti economici e dei dirigenti degli istituti di credito. La sua è una via crucis senza fine tra uffici pubblici, sportelli, atti di vendita, documenti, firme e contro firme. La “giungla d’asfalto” parigina mortifica e inghiotte le sue anime più marginali senza pietà, privandole di tutto.

Il cuoco si ritrova a vivere col bambino, prima in un camper adiacente al ristorante e poi, ceduto anch’esso a causa degli ingenti debiti, in una catapecchia con l’acqua che gli goccia in testa. Gli viene affittata da un bieco sfruttatore che maltratta anche i suoi inquilini immigrati (come Thomas in Tutti i battiti del mio cuore di Audiard), ultimo anello di una catena sociale metastatica che disintegra qualsiasi rapporto civile. Il denaro come unico mezzo di comunicazione della nostra epoca: brutale verità lasciataci in eredità da L’argent di Bresson. Solo adattandosi a questa “legge”, a costo di soluzioni estreme, si può fuggire dal vicolo cieco: il protagonista aggredisce e deruba lo strozzino e, con quei soldi, raggiunge Nadia a Montreal, insieme a Slimane.

Il personaggio di Nadia, intorno a metà film, fa perdere infatti le sue tracce: non scrive più lettere a Yann e quest’ultimo fa fatica a mettersi in contatto con lei. La percezione di incertezza e precarietà che permea il racconto si acuisce con la scomparsa misteriosa e senza movente della donna (è morta? oppure ha una doppia vita?).

Cèdric Kahn conferma di essere un abile destabilizzatore di trame, attraversate sempre da una lancinante energia ed inquietudine. Ricalca quasi fedelmente il procedimento ellittico del simenoniano Luci nella notte: Hélène si dilegua nel nulla e il marito, ignaro (come noi) del suo destino fino all’epilogo, va disperatamente alla sua ricerca. Se lì c’era l’ospedale come teatro del ricongiungimento, qui invece abbiamo il carcere (Nadia ci è finita perché incastrata da un trafficante di droga), luogo in cui i deboli scontano la “colpa” di aver desiderato una vita migliore.

Il dramma intimo di una famiglia disgregata, in lotta per la sopravvivenza, e di una paternità prima forzata e poi accettata, prende il sopravvento. Ma non è mai disgiunto da quello più ampio che scorre ogni giorno sotto i nostri occhi. Une vie meilleure ha il potere di condensare in sé tutte le contraddizioni del sistema globale e le devastanti conseguenze che esse hanno sulla quotidianità. Non ci può essere solidità di affetti senza stabilità economica. L’equazione è obbligata.





Titolo: Une vie meilleure
Anno: 2011
Durata: 112
Origine: FRANCIA
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: 35 MM
Produzione: LES FILMS DU LENDEMAIN, MAÏA CINÉMA, CINÉMAGINAIRE, MARS FILMS, FRANCE 2 CINEMA.

Regia: Cédric Kahn

Attori: Guillaume Canet (Yann Lorant), Leïla Bekhti (Nadia Gorani), Slimane Khettabi (Slimane Gorani).
Soggetto: liberamente ispirato al romanzo "Pour une vie plus douce" di Philippe Routier
Sceneggiatura: Catherine Paille, Cédric Kahn
Fotografia: Pascal Marti
Musiche: Akido
Montaggio: Simon Jacquet
Scenografia: François Abelanet, Emmanuel Fréchette
Costumi: Nathalie Raoul

Riconoscimenti

http://www.youtube.com/watch?v=gyJI4Te97Jg

 

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