Dopo Pierrot Lunaire (2014) e Gerontophilia (2013), un’opera, quest’ultima, completamente invasa da una quiescenza malinconica, da un desidero non ancora sveglio  ̶  se paragonato all’assoluta determinazione di The Raspberry Reich (2004), Hustler White (1996) e No Skin off My Ass (1993)  ̶ , dopo Otto; Up with Dead People (2008) e L.A. Zombie (2010), che sembravano davvero attendere il terzo ed ultimo capitolo di una trilogia horror-gore, The Misandrists gravita per la prima volta in un senso grammaticamente opposto, quello cioè di un humor-soft-core anni Settanta totalmente popolato da donne.

Una cellula terrorista di femministe separatiste (The Female Liberation Army) capitanata da Susanne Sachsse (già in The Raspberry Reich e in Pierrot Lunaire) nel ruolo di madre superiora e leader del commando, agita, in un apparente convento, l’atto finale della sua rivoluzione contro il patriarcato. Per quanto profondamente si scavi nella possibilità di superare lo schema del fallo come modello normativo del desiderio, per quanto si tenti di ripossedere lo spazio del corpo liberandolo dal fallogocentrismo, dal vincolo omosociale maschile, per quanto si cerchi il molteplice (il multiplo femminile, la lingua di mille lingue), per quanto si rigetti il paterno e la legge fallica, ci si riduce, di fatto, a far esplodere i cambiamenti attraverso la rinegoziazione di quel ruolo sottomesso che la donna ha talvolta esercitato dall’interno; The Misandrists si occupa del risultato di qualche post-femminismo distorto che invece di riaffermare un nuovo sistema simbolico, un sistema alternativo alla cieca rivendicazione, rifiuta l’alterità e categorizza a sua volta, lavorando per l’acquisizione di un potere che, nell’eclisse del maschio e del padre, diviene altresì riconoscimento di un genere solo come altro dell’uomo, mimandone e perpetuandone la logiche falliche.

Lo spazio creato è qui uno spazio altro rispetto a quello maschile, ma che ne mantiene le medesime fantasie di feticizzazione dell’altro, ad esempio perfettamente incarnate nel ruolo della sadica leader e il suo gineceo di “japanese schoolgirls”, dalla necessità di una qualsivoglia presenza maschile come controparte (l’active-male apparentemente passive-male si identificherà sia nella figura del fuggitivo che nel poliziotto) per rappresentarsi in tutta l’epica spettacolarizzazione dell’oggetto-donna in quanto sadica eroina-icona (soggetto attivo, ma di fatto oggetto dello spettatore). Il potere erotico coinciderà non tanto con lo sviluppo di un’alternativa (?) pratica pornografica, ma sarà nella volontaria oggettificazione del gruppo che trasferirà su sé tutte le neglette fantasie maschili di un potere attivo che si tentava invece di distruggere.

Se la seconda ondata femminista ha intravisto nell’industria cinematografica per adulti tutto il portato violento e repressivo sulla donna, d’altro lato, nuovi femminismi pro porn ne rimarcavano il valore politicamente attivo e libidinale, portando alla luce quella che sarà definita, da una decina d’anni a questa parte, come nuova industria pornografica femminista, a convertire l’oggetto in soggetto, lo sguardo maschile in un momento di identificazione femminile, pur adattandosi al bisogno cinematografico e industriale. E in Misandrists questo soggetto sarebbe nel riportare l’utilizzo della pornografia a strumento della propaganda rivoluzionaria, una pornografia in cui il maschio non potrà più prendervi parte, nemmeno come spettatore.

Ecco così che il cinema ammetterà la banalità di un racconto fantastico e di azioni esteriori, per potervi esprimere un pensiero attraverso, per ritornare a una coscienza di un reale (?). Ma paradossalmente, per la preparazione del proprio soggetto porno-propagandistico, le due allieve del commando si eserciteranno a comprenderne la giusta tecnica attraverso la (disgustata) visione di un porno gay; da qui riconosciamo come lo stereotipo dell’immaginazione stessa per una diversa formula erotica debba partire, per poi discostarsene, da un immaginario erotico preesistente e seminale che secolarmente ne detiene la fantasia sessuale (fantasia, del resto, con cui finirà per identificarsi lo spettatore). Se l’immaginario femminile, qui fortemente sessualizzato, riduce (volontariamente) la donna a una collegiale, la sua lotta a un’orgia tra amiche, il vessillo di una sovversione a un organo sessuale, allora c’è da ricordare quanto, allo stesso tempo, anche l’immaginario maschile sia stato più volte ridotto volontariamente e brutalmente da Labruce, a oggetto (la biopolitica rappresentazione ultra mascolina in Hustler White, un corpo muscolare, invincibile e venduto, non fa che ricordarci le teorie di Hard Bodies di Jeffords, ovverossia di come l’immaginario di un certo epocale machismo non sia che la sintesi estetica del desiderio o della repressione politica di una nazione, di una precisa ideologia politico-economica che avrà il suo corpo nell’attore).

La presenza di Volker (Til Schindler), un radicale anticapitalista raccolto nei boschi e introdotto nella comune da Isolde (Kita Updike), sarà l’origine di nuove repressioni che confluiranno in un evirazione dello stesso da parte del gruppo. Idea, questa della feticizzazione di una sottrazione, già presente in Hustler White e Gerontophilia - una sorta di reverenza nei confronti del desiderio, spiega Labruce, dell’oggetto del desiderio, immaginato e goduto in tutte le sue parti oscene e mancanti. Ma se in Hustler White c’era una sorta di febbre organica e partecipata all’immagine, qui, il godimento che ne risulta non è che una sintesi distratta e costipata: non c’è traccia dell’oggetto, e neppure di un soggetto, quel che resta è un panorama immobile e distaccato di una sessualità che si suggerisce appena nel suo esporsi, nel suo limite, e che si ridicolizza mentre si dice, che si spettacolarizza in una capitalizzata periferia.

Quasi successivamente alla presentazione di Misandrists a Berlino, la società di produzione Erika Lust lanciava Refugee’s Welcome in free streaming su eroticfilms.com, un porno sociopolitico attraverso cui l’idea stessa di vittima politica (un rifugiato siriano a Berlino vittimizzato da un gruppo skin neo nazi), non si esorcizza, ma si definisce in un nuovo immaginario distante dal benevolo pietismo mediatico, e la sessualizzazione del rifugiato qui è davvero l’avvento di una pornografia che è attivo strumento politico di propaganda.

«I’m always surprised that more people don’t use porn for political or propaganda purposes. Porn is everywhere, almost like a collective unconscious. It draws people in with explicit sex and lulls the audience into a receptive state».





Titolo: The Misandrist
Origine: Germania
Anno: 2017
Durata: 91 min
Colore: C
Specifiche tecniche: 2.35 : 1
Produzione: Jürgen Brüning Filmproduktion Amard Bird Films

Regia: Bruce LaBruce

Attori: Susanne Sachsse (Big Mother), Viva Ruiz (Sister Dagmar), Kembra Pfahler (Sister Kembra), Caprice Crawford (Sister Barbara), Grete Gehrke (Sister Grete), Kita Updike (Isolde), Victoire Laly (Ute), Olivia Kundisch (Hilde), Lina Bembe (Helga), Til Schindler (Volker), Dominik Hermanns (Cop).
Sceneggiatura: Bruce LaBruce
Fotografia: James Carman
Montaggio: Judy Landkammer
Costumi: Ramona Petersen

http://www.youtube.com/watch?v=BXuoTe8ma1s

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