alt«Dovrei venire, guardarti, tirarti fuori, baciarti e sostenerti, per non farti scivolare via. Ti prego, credimi, un giorno verrò e ti porterò via con me» (Bachmann-Celan 2011, p. 17)

È difficile riuscire ad entrare in un territorio pericolante come è quello dello spazio della parola senza cadere, inevitabilmente, in un linguaggio che eccede se stesso per diventare goffamente retorica. The Dreamed Ones tenta nell’impresa e lo fa lasciando che siano le parole ad occupare il campo della macchina da presa.


Quelle che vengono recitate da due attori in uno studio di registrazione infatti, sono scambi di parole e sono lettere scritte da due grandi poeti del nostro secolo: Ingeborg Bachmann e Paul Celan. Il carteggio fa parte di una raccolta intitolata Troviamo le parole e che occupa un arco di tempo che va dal 1948 al 1973. I due poeti si erano incontrati a Vienna nel dopoguerra e da allora ha inizio un lungo legame affettivo, fisico-epistolare, fisico perché epistolare a demarcare una distanza che però li ha sempre tenuti vicini.

Ruth Beckermann procede per sottrazione e cioè pulisce il campo del suo guardare, si ferma su una messa in scena ridotta (uno studio di registrazione) e tutto il film si muove su questo piano ovattato. Se è vero che la parola scritta resta (scripta manent), allora non dobbiamo meravigliarci se questa possiede già di per sé un proprio insostenibile peso corporeo e che ci trascina e ci affonda con tutto il suo spessore testamentario ed esistenziale a maggior ragione se si tratta della forma epistolare.

Quelle dei due poeti poi sono due esistenze estremamente inconciliabili (Celan era un ebreo di origine rumena e l’austriaca Bachmann aveva un padre nazionalsocialsta) ma è il contagio di una vita con l’altra, tra un poeta di soglia come era Paul Celan e una poetessa bruciata dal fuoco della scrittura come è stata Ingeborg Bachmann a rimettere in gioco tutto e a ricongiungerli sull’unico piano possibile, quello della parola, «un piano che era “al di là degli ippocastani”» (Bachmann-Celan 2011, p. 19).

Allo stesso tempo il recitare dei due protagonisti (attori che interpretano se stessi) diventa supporto per spettri mancanti, diventano affetti cioè da corpi invisibili che tornano in vita, e le parole rimbalzano (verba volant) da una parete all’altra, rivivono ridisegnando o tastando gli spazi, alla ricerca di un’altra dimensione, quella che si estende al di là dello sguardo, e allora è comprensibile se, in questo film, la stanza diventa il luogo per una voce inavvicinabile, la grata di parole (Celan 1998, p. 281) che è sempre una lontananza, lo spazio del loro parlare: è proprio questo spazio faticoso da raggiungere che mi riporta poi su un altro piano ancora, per altre immagini, ad un’altra stanza come quella in cui, ad esempio, Chantal Akerman provava a darsi corpo e voce scrivendo pagine, lettere rivolte a se stessa come fossero un testamento, come una traccia da lasciare o salvare in quelle quattro mura in Je tu il elle

È in tutti i casi, un «parlare al limite del soffocamento» (Bachmann-Celan 2011, p. 264) fatto soprattutto di silenzi, vuoti e incomprensioni, fatto di lotta: in gioco, infatti, non c’è solo un legame affettivo, c’è la vita e la morte, c’è il ricordo dello sterminio degli ebrei che devastò l’intera esistenza e opera poetica di Celan, c’è il senso di colpa e di inadeguatezza della condizione della donna che scrive sottolineato dalla Bachmann, c’è una vicinanza fragile (come la foglia che Celan aveva donato a Bachmann affinché la custodisse nel suo medaglione) fatta di cose oscure (Celan 2016, p. 97) da dire per lasciare la traccia di «una memoria fedele alla verità» (Bachmann-Celan 2011, p. 19).

Se è vero che il cinema diventa un dispositivo di custodia di fantasmi, in The Dreamed Ones l’immagine fa un passo indietro, cede il posto, diventa scenario vuoto, cassa di risonanza come era la stanza vuota della Akerman, diventa luogo anche claustrofobico come uno studio di registrazione: è indicativa poi l’affinità semantica tra la parola inglese to record che significa registrare e quella latina recordari che rimanda all'italiano ricordare perchè in questo film l'unico atto richiesto è quello di ri(n)tracciare una memoria, riportare in vita una voce.


Bibliografia

Bachmann I., Celan P. (2011): Troviamo le parole, Lettere 1948-1973, Nottetempo, Roma.

Celan P. (2016): La sabbia delle urne, Einaudi, Torino.

Celan P. (1998): Poesie, Mondadori, Milano.





Titolo: Die Geträumten
Anno: 2016
Durata: 89'
Origine: Austria
Colore: C
Attori: Anja Plaschg, Laurence Rupp
Produzione: Ruth Beckermann Filmproduktion

Regia: Ruth Beckermann

Sceneggiatura: Ruth Beckermann, Ina Hartwig
Fotografia: Johannes Hammel
Montaggio: Dieter Pichler

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