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Eugene conduce una doppia vita. Nella vita reale è un uomo di mezza età, sposato (con Milada) e insoddisfatto. Nella vita parallela, condotta all’interno dei sogni, insegue la sua innamorata, Eugenia. Per comprendere meglio la natura dei suoi sogni, Eugene si rivolge a una psicoanalista, la dottoressa Holubová. Questo e la scoperta di come accedere liberamente al mondo onirico gli permettono di addentrarsi nel suo passato. Il tempo trascorso fuori casa dal marito portano Milada a sospettare una relazione extraconiugale e a pedinarlo. Eugene dovrà scegliere tra il sogno e la realtà.

 

“…I Ricordi riempiono gli spazi nella nostra anima quando noi non viviamo. E la memoria è sempre selettiva. La memoria dà una dimensione spirituale all’animazione e l’animazione restituisce vita alla memoria. Senza la memoria non esisterebbe l’arte. L’animazione risveglia alla vita gli angoli più oscuri e sepolti della nostra memoria. E mi riferisco all’animazione nel senso più ampio del termine ( non solo quella che è una tecnica cinematografica)…”1


Nel 1999 Švankmajer redasse un decalogo ideale per la creazione di un film al termine del quale aggiunse un’altra regola che se infranta distrugge l’artista: mettere la propria opera al servizio della libertà; non farlo significherebbe piegarla al volere di una committenza, snaturando l’atto creativo in sé.

La libertà dell’immaginazione e l’immaginazione come libertà di scelta.

Nell’incipit di Surviving Life (letteralmente “scampando alla vita”) Jan Švankmajer riprende e anima se stesso in un prologo ironico e caustico in cui esprime le difficoltà economiche che i cineasti devono affrontare per realizzare un film e prosegue sarcasticamente illustrando l’uso dell’animazione come un mezzo efficace per risparmiare su attori, catering, ecc. Definisce il lungometraggio una commedia psicoanalitica giustificando la scelta con il semplice fatto che compare una psicoanalista nel film. Švankmajer sottolinea che il suo intervento non è da identificare come un intento di metalinguaggio bensì come un modo per fare raggiungere alla pellicola la giusta durata.

La narrazione si sviluppa poi attraverso vari livelli visivi che con lo scorrere dei fotogrammi si mescolano distruggendo i confini che li delimitano. Spazio e tempo vengono scomposti e riassemblati in un essere ibrido che conduce il protagonista a riscoprirsi attraverso un passato che la memoria e un trauma infantile gli avevano precluso.

Eugene rimuove inconsciamente un ricordo doloroso e crea una realtà stabile e sicura in cui vivere, ma questo mondo fittizio si incrinerà, sgretolandosi attraverso il viaggio a ritroso verso la verità che solo il mondo dei sogni gli permetterà di svelare. La menzogna che l’animo ferito ha costruito per marginare il dolore crea anche la necessità di immergersi completamente in esso per trovare la catarsi e rinascere.

Eugenia diventa il pretesto per addentrarsi nelle pieghe del sogno e la chiave necessaria per accedere al di là delle porte chiuse del passato. Lei è l’oggetto del desiderio di Eugene, l’amante, la moglie, la madre, Eugene stesso. E ognuna di queste figure femminili dallo stesso volto ma dalla diversa valenza affettiva occupano un livello inconscio ben preciso e allo stesso tempo inscindibile con gli altri personaggi-simbolo dell'inconscio di Eugene.

Al primo approccio con il mondo onirico Eugene si sente spaesato e ricerca nell’aiuto di una psicoanalista una possibile spiegazione logica a ciò che sogna.

Grazie a questo elemento narrativo Jan Švankmajer deride l’uso statico e meccanico della psicoanalisi inscenando degli sketch tra Freud e Jung che ricordano i tafferugli scherzosi dei fratelli Marx o delle commedie del cinema muto. I così detti “padri della psicoanalisi” sono rappresentati in due ritratti fotografici appesi al muro che si colpiscono e si scherniscono a seconda della teoria adottata dalla dottoressa Holubová per tentare di sviscerare il significato dei sogni di Eugene. Le due foto sono l’immagine della cristallizzazione del pensiero, che si irrigidisce per diventare statuto e non più strumento di partenza per l’analisi del magmatico processo dei ricordi.

La scelta cromatica della pellicola gioca sull’uso alternato del colore piatto e della gamma dei grigi interrotti da inserti di rosso saturo. L’impatto asettico e chirurgico, unito alla tecnica d’animazione detta cut out (ritagli animati), elimina il senso dei volumi e della profondità dell’immagine. L’ambiente in cui si svolge l’azione appare come le pagine aperte di un libro pop-up in cui la piattezza dell’immagine trova una sua dimensione. L’occhio viene liberato dall’iperbole tridimensionale a cui è sottoposto costantemente e a cui si è assuefatto ritrovando una nuova consapevolezza della visione in cui è di nuovo protagonista. Lo sguardo non subisce l’immagine facendosi inglobare nell’illusione dell’iper-realismo ma ritrova la sua funzione di indagatore curioso e attento.

Tutti questi elementi potrebbero essere parte di un qualsiasi film se non fosse per il legame solido e invisibile che intreccia narrazione e percezione in un’opera a tutto tondo. Perlustrare Surviving Life significa comprendere il legame e l’equilibrio tra racconto e immagine. Ogni qual volta si tenti di delineare un confine netto tra il mondo del reale (mente) e quello del sogno (immaginazione-memoria) la linea di demarcazione svanisce.

Il mondo di Eugene, che sia reale o sogno, è una messa in scena e i personaggi che ne occupano gli spazi sono figurine di carta che scompaiono ed emergono in un gioco che riconduce al teatro delle marionette (caro all’autore).

Surviving Life è un film complesso e ironico che appare come un semplice rompicapo da risolvere. Senza il giusto approccio però, il film resta chiuso in se stesso, ermeticamente bloccato nell’atto creativo. Rischia di diventare il tipo di cinema che per tutta la durata del film l'autore deride e sul quale ironizza: le produzioni impegnate e introspettive che vanno alla deriva perchè troppo dedite allo sguardo nel vuoto. Bisogna ammettere che nonostante l'intento di distruzione a catena degli stereotipi tramite  lo smascheramento e il sagace sberleffo del meccanismo che li compone alcune sequenze soffrono di un ritmo altalenante che si dilata eccessivamente mancando di poco quella lucidità che caratterizza il film nel suo insieme, ma resta un’opera interessante e necessaria.

In un periodo storico come questo, dove la narrazione è stata assoggettata alla logica di consumo o della didattica e in cui il racconto per immagini viene messo in scena come appendice della tecnica alla maniacale ricerca del superamento di se stessa verso il “più reale del reale”, o peggio è un pretesto per la celebrazione autoreferenziale (atto di masturbazione intellettuale?), film come Surviving Life sono fondamentali.

Se il cinema fosse solo un mezzo di intrattenimento ci interesserebbe ben poco la scelta del prodotto. Uno varrebbe l’altro. Ma il cinema messo al servizio di autori come Jan Švankmajer è qualcosa di diverso, è uno strumento che tenta di scardinare il conosciuto, l’usuale a cui lo spettatore è stato addomesticato.

Come per Eugene anche per lo spettatore il percorso intrapreso ha una sola finalità: ritrovare la libertà di scegliere.

 

 

Note
1. Jan Švankmajer, Eva Švankmajerová (2003): Memoria dell’animazione Animazione della Memoria, ed. Gabriele Mazzotta, Milano

 


 

 

Titolo: Surviving life
Anno:
2010
Durata: 105
Origine:
REPUBBLICA CECA, SLOVACCHIA
Colore:
C
Genere:
ANIMAZIONE, HORROR
Specifiche tecniche:
35 MM (1:1.66)
Produzione:
ATHANOR, C-GA FILM JURAJ GALVANEK, CESKA TELEVIZE, UPP

Regia:
Jan Svankmajer

Attori:
Václav Helsus (Eugene); Klára Issová (Eugenia); Zuzana Kronerová (Milada); Emília Doseková (Super-Ego); Daniela Bakerová (Dr.ssa Holubovà).
Sceneggiatura:
Jan Svankmajer
Fotografia:
Juraj Galvanek, Jan Ruzicka
Musiche:
Alexandr Glazunov
Montaggio: Marie Zemanová
Scenografia:
Jan Svankmajer, Veronika Hrubá
Costumi:
Veronika Hrubá

 

 

http://www.youtube.com/watch?v=row-LlGN--w

 

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