02La scrittrice di successo Taeko sta scrivendo il suo ultimo romanzo (una storia macabra nella quale si intrecciano sesso e violenza familiare), quando viene avvicinata dal misterioso Yuji, un ragazzo che sta in realtà indagando sul passato della donna.





Il rosso che è da sempre, inevitabilmente, il colore più legato ai corpi, si distende sull'immagine, rigonfiando l'occhio, vessandolo crudelmente, imprimendo sulla retina un lontano sentore d'orrore, (solo) subodorato nel teatrino circense che ha il sapore di limbo felliniano. È il circo, dunque, il primo sipario, puro centro di smistamento d'esistenze, terminal che dispensa vittime da immolare alla vita, al caso: al cinema.

Come stridente ruota panoramica (che appare spesso sinistra e fatiscente) il sadico sguardo di Sono Sion risale a punto d'osservazione preferenziale per poi repentinamente discendere nel profondo, nei recessi più reconditi degli incubi umani, negli onanismi indotti dal marcio del quotidiano, cui nido congeniale pare quello familiare, vero paziente zero di una pandemia che si irradia contaminando e opprimendo sempre più le coscienze, e in particolare quelle di Sayuri e Mitzuko, madre e figlia, inafferrabili sindoni l'una dell'altra, (co)strette al giogo perverso di Gozo, che è padre-padrone nonché preside-pedofilo e porno-cultore. E il piccolo foro di una custodia di violoncello diviene lente voyeristica (Love Exposure), fessura che dapprima nutre l'occhio – (im)possibilitato nel respingere l'immagine: forza inveterata (la piccola Mitzuko chiusa nella custodia non chiude gli occhi e anzi osserva l'amplesso dei genitori) – poi, fisiologicamente, il corpo (Taeko che nutre, tramite la stessa fessura, un Gozo mutilato); e questo binomio occhio/corpo è, se vogliamo, speculare a quello sogno/realtà: si ha l'impressione che i piani del reale e quelli dell'onirico collidano, alternandosi lynchianamente tra loro. Ma in questo Strange Circus Sono sembra andare oltre questa supposta alternanza, forse richiamando quella realtà dell’immaginale (film) che era, ad esempio, del Fascino discreto della borghesia in cui l'effetto matrioska impresso all'onirico sottende una natura di pellicola-sogno e non di sogni nella pellicola: «Bunuel ha abolito il risveglio» (Ghezzi, 1995), cosi come Sono, il quale racchiude il suo film tra prologo ed epilogo (l'apertura e la chiusura nel limbo circense) già situati in un'evidente cornice allucinata. E dunque avanza inesorabile l'ipotesi che tutta la vicenda altro non sia se non la concretizzazione virtuale dei deformi arzigogoli insiti nel processo di scrittura/creazione (si appura che gli eventi narrati sono parte [ir]reale di un libro in divenire), unica possibile via d'uscita da un plot fatto di varianti incontrollabili che rifuggono il significato, irraggiungibile come il Castello kafkiano che un'altra Mitzuko febbrilmente cerca in Guilty of Romance.

Il rosso, il sogno e il circo: somma di topoi che (dichiaratamente) omaggia Fellini, il suo cinema corporale. E dunque non si può non pensare a I Clowns che, avvolto anch'esso in un rosso intenso fin dai titoli di testa, ridisegna l'esistenza di mostruose ma tristi caricature, parodie dell'umanità, Bianco e Augusto (che nel finale, allontanandosi mano nella mano, diventano un tutt'uno proprio come Mitzuko e Sayuri), maschere e volti omologati, spersonalizzati. Non dissimile è Taeko, la quale incarna allo stesso tempo anche Sayuri e Mitzuko in un valzer di ruoli (di archetipico stampo pirandelliano) che occupa l'intera (o quasi) filmografia soniana: i personaggi (ri)tornano, quasi come gusci vuoti (ri)pescati negli acquari del (non a caso) Taeko Shamoto (e di sua figlia Mitzuko) in Cold Fish: e difatti, come dicevamo, in Guilty of Romance ritroviamo una Mitzuko divenuta folle prostituta, nella quale, a detta di sua madre, scorre il sangue sconcio di suo padre (Gozo?); vi è inoltre un'altra Mitzuko in Suicide Club. È poi (sempre pirandellianamente e, al limite del postmoderno, lynchianamente) emblematico Noriko's dinner table – forse anche riferimento per quel cinema di diagnosi del contemporaneo fondato su goffe maschere usa e getta (ad esempio quello di Lanthimos) – in cui lo scambio di ruoli raggiunge il parossismo: l'istituzione familiare sembra funzionare solo se in affitto, se rappresentata da sconosciuti che recitano il copione desiderato dal cliente.

Personaggi in cerca d'autore dunque; ma recitare una pluralità di vite può anche servire a costruire un passato o a fuggire dal proprio, via che sembra percorrere Taeko tentando di (ri)scrivere la propria esistenza, (ri)modificandola nel momento in cui rileva una falla (Yuji è Mitzuko e Taeko è Sayuri). Ma queste saldature di fortuna esercitano una pressione troppo forte, destinata ben presto a debordare; e a quel punto, quando la mente cortocircuita, «cosa è reale e cosa non lo é?». Non resta che abbandonarsi, perdersi nel rosso ammaliante e dunque nel corpo, nei corpi in continuo tumulto, nel sangue vivo e vivido, pullulante, nel limbo di una dimensione distorta che ricorda un terribile incubo ma appare molto più simile al reale (e in particolare, polemicamente, Sono guarda al Giappone, sempre più avviato ad un processo di collasso etico-morale): abuso sui minori, pedofilia intrafamiliare, incesto, prostitute travestite da suore (ancora Love Exposure), violenza gore (Gozo sadicamente “motosegato” da Yuji), regime autoritario imposto dall'istruzione scolastica (Gozo che comunica con gli studenti tramite un televisore e mai di persona); il tutto avvolto dall'incedere del «Concerto per piano n.5 in fa minore di Bach, che percorre in modo lancinante tutto Strange Circus, come la musica di un carillon stonato e spettrale, dando suono (e il “sono”, contro il “significo”) alla disperazione ghignante dei personaggi». (Abiusi, 2013)
E quell'invito a resistere, rivolto a Mitzuko nel finale, sembra quasi prolungato all'occhio, cui viene chiesto, disperatamente (e definitivamente), di abbandonare la spasmodica ricerca di significa(n)ti perché «la realtà non esiste, è sempre soggettiva» (Roberto Rossellini in Aprà, 2006).


Bibliografia

Abiusi, L. (2013): In nomine corporis, postfazione a D. Tomasi e F. Picollo (a cura di), Sion Sono. Il signore del caos, Caratteri Mobili, Bari (il libro è in via di stampa in questi giorni).

Aprà, A. (2006): Il mio metodo. Scritti e interviste, Marsilio, Venezia.

Ghezzi, E. (1995): Il fantasma della libertà, in Paura e desiderio, Bompiani, Milano.


Filmografia

Cold fish (Sono Sion, 2010).

Guilty of Romance (Sono Sion, 2011).

I Clowns (Federico Fellini, 1970).

Il fascino discreto della borghesia (Luis Bunuel, 1972).

Love Exposure (Sono Sion, 2008).

Suicide Club (Sono Sion, 2002).





Titolo: Strange Circus
Anno: 2005
Titolo originale: Kimyô na sâkasu
Durata: 108
Origine: GIAPPONE
Colore: C
Genere: HORROR, THRILLER
Specifiche tecniche: 35 MM (1:1.85)
Produzione: SEDIC

Regia: Sion Sono

Attori: Masumi Miyazaki (Mitsuko/Sayuri/Taeko); Issei Ishida (Yûji); Rie Kuwana (Mitsuko da giovane); Mai Takahashi(Mitsuko da giovane); Hiroshi Ôguchi (Ozawa Gôzô); Fumie Nakashima (Infermiera).
Sceneggiatura: Sion Sono
Fotografia: Yûichirô Ôtsuka
Musiche: Sion Sono
Montaggio: Junichi Itô
Effetti: Nishimura Motion Picture Model Makers Group

Riconoscimenti

Reperibilità


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