Un terzetto di scienziati è in missione per conto dell’Onu in Bolivia, per poter indagare sulle cause di un disastro ambientale. All’aeroporto attendono la loro guida locale, che non arriverà mai e che mai vedremo nel corso del film e il cui nome verrà detto, come fosse un dettaglio di alcuna importanza, un’unica volta: Helmholtz.

Può essere un caso (anche se in un film di Herzog è quasi impossibile) che Helmholtz sia anche il cognome di uno dei massimi scienziati tedeschi dell’Ottocento, famoso soprattutto per i suoi studi sull’ottica e l’oftalmologia. La sua importanza è tale che Gottfried Benn attribuiva a una sua seduta presso la Società di Fisica di Berlino del 1847 l’ora zero dell’epoca successiva, quella della piena comprensibilità del mondo come meccanismo, la sua misurabilità attraverso dati, il suo studio per mezzo di modelli e statistiche: «Si tenga conto che fino a quel giorno il mondo per l’umanità non poteva essere compreso, ma vissuto, che non ci si accostava a esso con metodi fisico-matematici, non lo si sottoponeva a calcolo, ma lo si avvertiva, lo si viveva come dono della creazione, lo si prendeva come espressione del sovraterrestre.» (Benn 1992, pag. 129).

La recensione potrebbe anche finire qui perché questa citazione riassume lo scopo, il messaggio, che possiamo voler attribuire al film, soprattutto quando la bella protagonista (la capo spedizione dei tre scienziati) filosofeggia da sola in mezzo al nulla del deserto di sale, rimirandosi in un tablet per registrare i suoi pensieri: oh, il ritorno alla natura, e quanto sono asettici i big data, e lo stare qui mi sta cambiando. Però poi quello stesso tablet verrà riutilizzato nel finale sì come specchio, ma deformante, per poter creare, con dei giochi prospettici, effetti da cinema d’artigianato: approfittando della vastità del piano del deserto e della mancanza di punti di riferimento, un peluche in primo piano sembrerà un gigantesco Godzilla, mentre gli umani sullo sfondo appariranno come sue vittime inermi.

Allora Herzog ci vuole dire che non sono importanti i mezzi quanto l’uso che se ne fa? Forse, ma non in modo così banale: l’invito di Herzog sembra più volto a cercare di cambiare prospettiva al modo di vedere e percepire le cose. Prendendo come esemplificativa l’immagine del dipinto sul porticato del convento della Santissima Trinità a Roma che può raffigurare, a secondo del punto di vista, un santo seduto sotto un albero o un paesaggio. Oppure il deserto: visto dall’alto, con gli immancabili cori sardi che accompagnano le panoramiche herzoghiane da qualche film a questa parte, può sembrare un immenso e suggestivo pattern; dalla prospettiva di bambini ipovedenti prossimi a diventare ciechi, il deserto diventa il dorso di un enorme animale, sotto il quale scorre materia lavica che se dovesse fuoriuscire (nel film si dice fra duecentomila o vent’anni) potrebbe oscurare il sole e porre fine alla vita sulla Terra; o infine il punto di vista geologico, tanto caro a Herzog: nella prospettiva delle ere, l’uomo non è che un accidente, o un ospite che può essere cacciato in qualsiasi momento.

Herzog può voler dirci tutto questo o non voler dire nulla, rimescolando le carte a suo piacimento. Ritorniamo alla scena descritta all’inizio: Helmoltz non arriva, manca l’appuntamento (per uno preciso e metodico come ce lo immagineremmo, questa mancanza è perfidamente ironica) e al suo posto arriva un uomo su una sedia a rotelle, di nome Aristides. Volendo continuare il gioco delle omonimie potremmo chiederci: quale Aristides? Il politico Ateniese detto “il giusto”? O il Santo, colui che stigmatizzava l’adorazione dei Greci per i quattro elementi? Ma è solo un camuffamento, in realtà si chiama Krauss; e al momento dei titoli di coda scopriamo che l’attore è proprio quel Lawrence Krauss, fisico e astronomo americano, il cui libro più famoso tratta dell’esistenza della materia oscura (che agli occhi di un profano può essere paragonabile al quinto elemento di Aristotele, o quintessenza o etere che dir si voglia) e della non necessarietà di Dio per spiegare l’origine dell’universo – non a caso il libro si intitola L’universo dal nulla.


Bibliografia

G. Benn (1992): Lo smalto sul nulla, Adelphi, Milano.





Titolo: Salt and Fire
Anno: 2016
Durata: 98’
Origine: Germania, Francia, Messico, Bolivia, Stati Uniti
Colore: C
Genere: Drammatico
Specifiche tecniche: Dolby Digital, 2.35 : 1, DCP
Produzione: BENAROYA PICTURES, CONSTRUCTION FILM, ARTE FRANCE CINEMA, CANANA FILMS, SKELLING ROCK

Regia: Werner Herzog

Attori: Veronica Ferres (Laura Sommerfeld), Michael Shannon (Matt Riley), Gael García Bernal (Dr. Fabio Cavani), Volker Michalowski (Dr. Arnold Meier), Lawrence Krauss (Krauss / Aristidis), Danner Ignacio Márquez Arancibia (Huascar), Gabriel Márquez Arancibia (Atahualpa).
Soggetto: tratto da un racconto di Tom Bissel
Sceneggiatura: Werner Herzog
Fotografia: Peter Zeitlinger
Montaggio: Joe Bini
Scenografia: Susana Chaparro Alvarado
Musiche: Ernst Reijseger
Costumi: Esther Walz
Effetti: Bianca Rudolph

Riconoscimenti

Reperibilità


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