rua-aperana-52Attraverso le tre sezioni in cui si divide il film (fotograma, fotodrama, fototrama), Julio Bressane rievoca i luoghi che hanno contrassegnato la sua filmografia.





Cos’è Rua Aperana 52 di Julio Bressane? Prima di tutto un indirizzo. Il nome e la numerazione di un tracciato biografico. Forse una seduta spiritica, che ha nel Bios il suo medium e nel paesaggio il sedimento e l’emanazione. Una grande mano, come se cercasse di sintonizzarsi, scava direttamente sulle foto ingiallite, le sfoglia e le ruota nello stesso verso orario della manopola di una vecchia radio che nel frattempo gracchia altri fantasmi, ballate popolari, emissioni BBC, una canzone dei Nomadi («…sono un soldato che obbedisce e non capisce/sono un esploratore che ha studiato da aviatore…». Ecco un inserto di lingua italiana che piacerebbe al Godard delle Histoire(s) du cinéma). La didascalia dice: fotograma, cioè una grande casa bianca ai piedi della montagna (detta “I due fratelli”) che la abbraccia e la sovrasta, con le finestre e un piccolo terrazzino che sembrano i suoi occhi e il patio introdotto dalle arcate ampie e dolci che sono le braccia e le mani. Poi un bambino, quasi un neonato, che è anche subito un ragazzino in bicicletta, e i volti dei genitori sorridenti che lo tengono in braccio, soprattutto la madre, bellissima, in piedi a fianco della casa, sotto la montagna, in spiaggia rivolta all’orizzonte, vestita da sposa, i dettagli delle mani smaltate, della gonna, dei capelli raccolti, della camicia a quadri del padre: è il fotodrama, cioè il volto, cioè la cicatrice (fotografie scattate fra il 1909 e il 1955). Ma dalla camera oscura ecco ricomporsi il movimento, lo scorrere del tempo dalla fotografia alla maschera alle prime immagini amatoriali in 16mm: è il fototrama, cioè la luce, cioè i film (che ci porterà fino al 2009: il film racconta esattamente un secolo).

Eppure è il contrario dell’autobiografia. Tutto è autobiografico e quindi l’autobiografia è impossibile, è la scappatoia superficiale d’una memoria già espansa. Nessun ricordo e nessun recupero, ma la memoria come organismo vivente che dimentica e di cui molto spesso le cose invisibili o apparentemente sparite fuoriescono in un punto remoto e insieme vicinissimo all’illusione temporale che lo accoglie (che è appunto la linea bio-grafica), ma risalgono così rilucenti da imporre un’inversione dell’esistente, una differente disposizione del mondo. Una pietra sepolta da secoli che riemerge portando sul dorso incisioni perdute in grado però di modificare tutto l’arco spazio-temporale in cui si ricolloca. E non importa se la pietra fa parte di una geografia locale, di un minuzioso e spettacolare sistema idrografico e topografico che è solo un lembo del pianeta, col mare, la vegetazione, una curva in salita, le spianate inattese: perché questa è la Monument Valley di Bressane, l’invenzione di un paesaggio mentale, l’invenzione del cinema, l’invenzione dell’immagine.

Il nucleo Rua Aperana 52 - quella casa, quelle strade, quei picchi, quel cielo – è il set ossessivo di una vita che risale la corrente coll’incredibile portato detritico fatto d’altri dettagli, altrimenti detti film: 16 mm P/B, Lágrima-Pantera, Matou a Família e foi ao cinema, A Família do Barulho, Viagem Através do Brasil, Amor Louco, A Fada do Oriente, O Rei do Baralho, A Agonia, Viola Chinesa, Cidade Pagã, Cinema inocente, Tabú, Brás Cubas, Sermões, Quem seria o feliz conviva de Isadora Duncan?, Miramar, Dias de Nietzsche em Turim, Filme de Amor, Cleópatra, Passagem em Ferrara, Ver viver reviver, A Erva do Rato, Belair. Meglio citarli tutti perché un film così non si è mai visto (forse solo e ancora Godard, forse solo lo Sganzerla ultimo di O signo do caos). Un film che estrae una singola figura ritornante che appare come agone/agonia e limite/dislimite in tutti i film e insieme la cortocircuita e la rimette in circolo, letteralmente la rimonta, anche per sequenze brevissme, estrapolate e dislocate, ottenendone una regione spaziale e temporale e di senso del tutto nuova, un tessuto incandescente che sembra essere il corpo stesso del cineasta (virato, fatto grana della pellicola: Julio Bressane è fra Stan Brakhage e John Ford). A subire lo spostamento non è un’intera filmografia, ma l’intero corpo che l’ha inventata. E questo corpo è un precipitato alchemico che attraversa interi universi: il volto della madre in una foto ingiallita diventerà i seni in bianco e nero di Filme de Amor, il fazzoletto bianco di Passagem em Ferrara e di Ver, viver, reviver era già stato i panni multicolori filmati in un viaggio di trent’anni prima in Afghanistan fatto insieme all’altro grande regista brasiliano Andrea Tonacci (immagini qui mostrate per la prima volta e che fanno parte del film perduto del 1973 Viagem Através do Brasil, come anche quelle rarissime sul Marocco appartengono all’altro film mancante del 1972 A Fada do Oriente). E Rosa Días, geniale studiosa di Nietzsche e compagna di vita di Bressane, che appare in inediti struggenti primi piani, è musa assoluta. Film sul film sul film che, smontato da quel dettaglio (la biografia), viene riconsegnato come film su un dettaglio (il cineasta). Cineasta-casa, cineasta-montagna, cineasta-mare, cineasta-curva, cineasta-occhio, cineasta-madre, cineasta-padre, cineasta-figlio: cineasta-luogo.

Cosa sta dicendo Bressane? Che ogni uomo è una mitologia? E che dunque il mito non gli appartiene se non come possibilità multi-soggettiva? Che la polvere in cui spariremo tornerà sottoforma di nuovo montaggio d’ogni singolo granello? Che il vento che ci spazza via al tempo stesso è la forma intuitiva più esatta che infine ci vedrà ricapitolati e riformulati? Che faremo un nuovo film, ma che tutte le immagini sono state filmate? Che tutte le immagini sono state filmate e che proprio per questo faremo un nuovo film? Che è questo eterno inorganico a costituire la materia dell’organismo? Forse sta dicendo che non c’è storia dell’immagine che non sia preistoria e che è quest’ultima a incarnare la storia vera del pensiero, con la sua immediatezza fantasmagorica e insieme la malinconica bellezza di ciò che non riesce a trattenere. Come il riflusso dell’onda che sembra inventare un nuovo sentiero, ma appena si accenna scompare. Per Bressane l’immagine è un paesaggio che annuncia sempre qualcosa mantenendone il mistero. E il cineasta è l’esploratore provvisorio che tenta dei recuperi impossibili, che è obbligato, per avere coscienza, a perdere il controllo. Ebbene, non l’abbiamo sempre chiamato falso movimento?





Titolo: Rua Aperana 52
Anno: 2012
Durata: 80 min
Origine: Brasile
Colore: C, B/N
Genere: BIOGRAFICO
Produzione: Júlio Bressane

Regia: Júlio Bressane

Attori: Fernando Eiras, Giulia Gam, Drica Moraes, Maria Gladys, Joel Barcelos, João Rebello, Caetano Veloso.
Sceneggiatura: Júlio Bressane
Fotografia: David Pacheco
Montaggio: Rodrigo Lima
Suono: Aurélio Dias
Musiche: Lívio Tragtenberg, Guilherme Vaz

Tags: