altDi passaggio da Milano, per la promozione italiana di Le mille e una notte distribuito in sala da Milano Film Network, siamo riusciti a incontrare Miguel Gomes. Del film, di cui già abbiamo detto in forma di frammento e pensiero in occasione dell'anteprima allo scorso festival di Cannes, torneremo a parlare, diffusamente, sul prossimo numero della rivista. Intanto, qui di seguito, l'intervista, da cui comunque partiranno le prossime letture che vi proporremo.


Possiamo considerare Le mille e una notte come il progetto che porta a compimento quel lavoro di sovversione dei codici, quell'oltrepassamento tra realtà e finzione cominciato con A Cara que Merece?

In un certo senso possiamo dire di sì, ma vorrei spiegare meglio: abbiamo più di un secolo di cinema alle spalle, e in questo arco di tempo sono venuti a crearsi dei codici di rappresentazione ormai sedimentatisi nel nostro immaginario, che quindi siamo in grado di riconoscere. Io non direi  che adopero propriamente questi codici, però allo stesso tempo non posso neppure dire di ignorarli. Dal mio punto di vista ci sono due mondi: quello del cinema e quello reale, della realtà; e io cerco di creare un cortocircuito tra le modalità di configurazione che provengono dalla memoria cinematografica e i fatti che il mondo reale mi propone.

Le mille e una notte mi sembra colga una certa tendenza in atto nel cinema contemporaneo, ovvero quella di lasciare che la storia sfugga di mano per prendere strade imprevedibili e abbandonarsi al piacere dell'affabulazione nutrendosi delle “esigenze” del presente...

Nel momento di intraprendere questo viaggio abbiamo anche stabilito di non fissare alcuna meta. Si è deciso di percorrere la strada lasciandoci guidare unicamente dal piacere del cammino, senza una struttura rigida che in qualche modo ci vincolasse. E questo, secondo me, è stato molto importante ai fini del film. All'inizio non sapevamo che storia avremmo raccontato, l'abbiamo scoperta di volta in volta, man mano che ci arrivavano i fatti dalla realtà. Non c'è stato alcun disegno preventivo, il film lo abbiamo scoperto e creato passo dopo passo, un po' come in Il Mago di Oz, quando Dorothy comincia a percorrere il sentiero di mattoni dorati.

Difronte ai tuoi lavori si ha la sensazione che immagini, suggestioni del passato tornano a vibrare nel presente. Viene quindi da domandarsi: Dove siamo? In quale tempo e in quale spazio? Possiamo dire di trovarci sospesi in un altrove in cui tutto sfuma?

Il presente che ci avvolge, in realtà, è una temporalità cangiante: accanto ai fatti che stiamo vivendo, qui e ora, riverberano risonanze di memorie passate che il dispositivo filmico riesce a captare e di cui tu, regista, puoi dunque disporre. Puoi filmare l'oggi, l'esistere contingente, cogliendo allo stesso tempo il transito di vite trascorse. Del resto i fantasmi sono consustanziali al cinema.
Oltre alle tracce di questo passato che ritorna abbiamo anche a disposizione le memorie future: certo queste sono un po' più difficili da intravedere. Accade però che durante la lavorazione di un film sopraggiungano prospettive inedite che possono essere epifanie di prossime insorgenze. Ecco, al cinema tutte queste dimensioni possono convivere all'interno di un unico spazio filmico.

C'è una tua dichiarazione riguardo l'intenzione di voler lavorare su Le mille e una notte dove affermavi che si sarebbe trattata di una versione lontana rispetto a quella di Pasolini. Il fiore delle Mille e una notte si apre con una citazione che dice: «La verità non sta in solo sogno, ma in molti sogni». Ecco, i termini e il modo in cui sono messi a confronto mi sembrano però vicini a quello che è il tuo discorso.

Sì, come diceva Pasolini la verità non si trova in un sogno (in effetti il sogno non è qualcosa che razionalmente assoceremmo con la verità) ma si trova in molti sogni. Penso sia vero perché si tratta di un mondo parallelo.
Pensiamo al mio film: ho sentito la necessità di svilupparlo su sei ore proprio perché avevo bisogno di uno spazio più ampio per poter accogliere tutti quei sogni. Nonostante Le mille e una notte sia stato un progetto faticoso per cui ho impiegato molte energie, e sono felice di averlo terminato, ritengo però che quanto fatto non sia ancora sufficiente: avrei voluto avere a disposizione più tempo per aprire il film ad altre coordinate e umori inattesi.
Sai, quando filmi delle persone, e non semplicemente dei personaggi, non documenti soltanto la loro vita reale: in quel momento tu stai documentando anche le loro paure, i loro desideri, che sono comunque il risultato dell'esperienza quotidiana. Quindi per me Le mille e una notte è un libro di racconti che documenta aspetti di una vita passata, in uno spazio e in un tempo completamente diversi, ma di cui continua ad arrivarci un'eco. Per me non è soltanto una raccolta di novelle, ma un vero e proprio libro di Storie.

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