Phil-Spector 1L’avvocato Linda Kenney Baden rappresenta la difesa nel processo di condanna per la morte Lana Clarkson. Il suo cliente, incriminato in seguito alla telefonata del proprio autista che lo ritiene responsabile dell’uccisione della ragazza, è Phil Spector, tra i più importanti produttori discografici statunitensi.

 

 La pratica di questa scrittura in abisso
non è forse ciò di cui la critica […]
non potrà mai rendere conto alla lettera?
L’abisso non avrà mai lo splendore del fenomeno
perché diventa nero. O bianco.
(J. Derrida)

Un testo va sempre interrogato partendo dalle due domande fondamentali: com’è fatto? Come funziona? Per quanto riguarda Phil Spector, il film che David Mamet ha realizzato partendo dall’indagine giudiziaria attorno all’accusa di omicidio rivolta all’“America's first teen-age tycoon”, il produttore discografico che osò sottrarre il primato compositivo agli autori musicali (resta ad imperitura memoria del suo modus operandi il monumentale boxset quadruplo Back to Mono), la risposta a due interrogativi di partenza può essere data recuperando lo stralcio di una recensione che Rohmer scrisse, per i Cahiers, su Rapporto confidenziale di Orson Welles: una «verità che si sgretola nelle mani di chi conduce l’inchiesta».

Il frammento dell’articolo peraltro ci permette di individuare subito il nucleo centrale della poetica di Mamet, e cioè il dualismo veridicità/finzione declinato in termini di messinscena, concetto riferito sia all’attività registica che, come evidenziato da Aldo Spinello, alla «predisposizione "recitativa" dei personaggi che si muovono sul palcoscenico della vita/fiction interpretando un ruolo». Phil Spector, tutto giocato su una vertiginosa costruzione di rappresentazioni simulate, sistematicamente sconfessate, di un evento che resta sempre da immaginare, dichiara l’impossibilità di istituire un livello incontrovertibile di realtà.

Tutto si svolge all’interno di spazi d’illusione (l’aula di tribunale; l’ufficio dell’avvocato Bruce Cutler che fa che fa da quartier generale della difesa di Spector; ambienti che “mettono in scena” e orientano la percezione) in cui si afferma una concezione della vita come rappresentazione (finzione e realtà s’incontrano e si confondono divenendo l’una il doppio simulacrale dell’altra) e dove il passato, contemporaneo al presente perché simulato (il ricordo si crea nel corso del suo allestimento), si confonde in un allucinatorio gioco di specchi. Come di fronte agli enigmi wellesiani, anche qui la struttura a “inchiesta” è riflesso di un film in fieri e in continua evoluzione, un enorme work in progress che indaga sul mistero-Spector. Il gioco di specchi che si viene a creare apre una lacerazione tra le immagini duplicate: siamo intrappolati nel gorgo della mise in abyme (o struttura in abisso) che svela la valenza costruttiva dell’opera. Phil Spector è un film che non rappresenta altro che la messa in scena e il desiderio del suo farsi.
Per legittimare la propria identità, il testo deve immediatamente dichiarare la propria origine: il film, non a caso, si apre sulle immagini, esautorate di colore, restituiteci dall’occhio di una camera di video-sorveglianza. Immagini, dunque, non immediate ma reduplicate che rientrano nella categoria della ripetizione. È la visione di una visione, che rimbalza. Lo specchio che specchia un altro specchio che specchia lo specchio. Questo per dire che siamo da subito nella voragine o, meglio ancora, nell’abyme.

Nel complesso Phil Spector è un’opera in cui vige la rifrazione, la moltiplicazione degli sguardi, delle cornici, delle rappresentazioni; costruita sull’evidenza dell’artificio. Si è più volte chiamato in causa il cinema Welles e la figura del discografico non stonerebbe nella galleria dei suoi antieroi, anch’egli irretito dal demone della superbia che, mescolato all’estro dell’ambizione, dona al personaggio un diuturno sentore sulfureo. Il dire qualcosa su di lui si scontra sempre fatalmente con un contraddire, in un incessante gioco di reciproche elisioni. Le parole non riescono a darne una definizione compiuta, ogni affermazione ne stimola di rimando delle altre, generandogli tutt’attorno un carosello di voci dissonanti e cacofoniche.
Spector, come Arkadin, è un Dio ormai vecchio, stanco, abbandonato da tutti. Autoreclusosi nel proprio palazzo mausoleo, i cui metamorfici volumi ne riflettono il delirio, la sua immagine non può non ricordare quella vacillante e sparpagliata di Kane, moltiplicata all’infinito negli specchi di Xanadu. Come lui, imprendibile.





Titolo:
Phil Spector
Anno: 2013
Durata: 92
Origine: USA
Colore: C
Genere: DRAMMATICO, BIOFICTION
Specifiche tecniche: (1.78:1)
Produzione: HBO FILMS

Regia: David Mamet

Attori: Al Pacino (Phil Spector); Helen Mirren (Linda Kenney Baden); Jeffrey Tambor (Bruce Cutler); Chiwetel Ejiofor (Mock Prosecutor); Rebecca Pidgeon (Dr. Fallon); John Pirruccello (Nick Stavros); James Tolkan (Judge Fidler); David Aaron Baker (ADA Alan Jackson); Matt Malloy (Dr. Spitz);Jack Wallace (Music Store Owner); Dominic Hoffman (Mr. Brown); Philip Martin (James)
Sceneggiatura: David Mamet
Fotografia: Juan Ruiz Anchía
Musiche: Marcelo Zarvos
Montaggio: Barbara Tulliver
Scenografia: Patrizia von Brandenstein

Riconoscimenti

Reperibilità


http://www.youtube.com/watch?v=yIupkuBw6VI

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