altParigi, un piccolo appartamento, un uomo e una donna.

«Nella bocca che vuole da
un’altra bocca
il miele che nessuna estate può
maturare […]
Nell’angoscia dei corpi
che non si trovano
Urta, tardi.»

(Yves Bonnefoy)

Ciò che ci restituisce la visione di Penultimo paesaggio è l’impressione di un vuoto, l’eco di uno strepito in mezzo al nulla. Un uomo e una donna si incontrano in un piccolo appartamento parigino e sin da subito è chiara – in una rincorsa lungo una parete bianca e spoglia – l’impossibilità dei loro corpi di diventare Uno. Chiusi nel proprio godimento, assopiti nel bozzolo oscuro della parola, l’uomo e la donna, anche nel momento più estremo del contatto fisico, sono condannati a un’irriducibile condizione di separatezza. Lacan ha detto: il rapporto sessuale è tutto ciò che non cessa di non scriversi. Al pari della morte, esso non può essere rappresentato, e per questo è da intendersi dalla parte dell’impossibile. Ciò che può scriversi, o meglio, che non cessa di scriversi, forse, è solo l’amore. Per questo spesso subentra la sua forza bruciante, come a supplire questo continuo mancarsi. Ma cos’è esattamente l’amore? Dove comincia e dove finisce l’amore? Non è forse quella fiamma spontanea e feroce che ci spinge a desiderare incondizionatamente l’altro? Ma “come perdonare all’altro di restare altro?” (S.Weil).

C’è un immagine forte nella seconda elegia duinese di Rilke che esprime intensamente tutto quello che si può dire intorno all’amore: «[…] Se voi uno alla bocca / dell’altra vi sollevate ed accostate-: bevanda / a bevanda: oh come poi all’atto / sfugge stranamente chi beve»(Rilke 2007, pag.15).
Dolorosa e folgorante, quest’immagine sembra posarsi sul fondo delle immagini del cinema di Ferraro, che affonda pienamente in una desertificazione del senso e in un’eclissi sentimentale proprie, ad esempio, del cinema di Antonioni.
Nel succedersi di immagini grigie e fredde, riflessi di quel secco taglio di luce che è il digitale, la Ville Lumière, scenario di certo cinema dall’idilliaca inclinazione sentimentale- amorosa, ora appare scialba e anonima come la periferia romana nel finale de L’eclisse (1962). Ed è così che lo sguardo finisce per essere inghiottito dal ritmo impazzito della vita odierna – sempre più assorbita dall’impudenza del denaro e della carriera – e dall’imperante architettura contemporanea che adombra e pietrifica, col suo spettro tumorale, le autistiche sagome bressoniane, se non magrittiane, dell'uomo e della donna, prede di un tempo inesorabilmente morto.

Lo spazio per agire sembra rappreso, congestionato: inerti ed esiliati da se stessi, i personaggi appaiono come trapassati costantemente da un fuori che viene a consumare e ad annichilire uno spazio interiore. Tant’è che il regista aggira l’azione, ora l’anticipa mostrando ciò che avviene prima, talvolta la scavalca rivelandone il dopo – e anche per questo torna con insistenza il fantasma di Antonioni, o si palesa quello del secondo Godard, di Alain Robbe-Grillet, di Garrel, per dirne alcuni. Così, scortato dalle musiche di Bach, Fresu e Vivaldi, il bianco e nero, in esile equilibrio lungo il film, si stempera nella sovraesposizione di una luce accecante e terminale.

Allora tutto sembra diluirsi in un fluire dolente e nostalgico: quella nostalgia che è nel bisogno di perdersi, di alleviare la mancanza che è in seno all’essere, di toccare la ferita che è nell’altro. Bataille ha scritto:«[…] non c’è nostalgia più grande di quella che attrae due ferite l’una verso l’altra.» (Bataille 2011, pag.25). Ecco perché Penultimo paesaggio, come il suo seguito Quatre nuits d’un etranger (2013) – rivisitazione de Le notti bianche di Dostoevskij – , è un film nostalgico. Un film sull’amore. Quell’amore che forse è tutto ciò che non c’è mai stato e che deve ancora venire – e che, puntualmente, disattende la sua venuta.


Bibliografia

Rilke R.M. (2007): Elegie duinesi, Feltrinelli, Milano

Bataille G. (2011): L'amicizia, SE, Milano





Titolo: Penultimo Paesaggio
Anno: 2011
Durata: 114
Origine: Italia
Colore: B/N
Genere: Drammatico
Produzione: Marcello Fagiani, Fabrizio Ferraro per Boudu film
Distrubuzione: Movimento film

Regia: Fabrizio Ferraro

Attori: Luciano Levrone, Simona Rossi
Sceneggiatura: Fabrizio Ferraro
Fotografia: Fabrizio Ferraro
Musica: Ludovico Takeshi Minasi, Paolo Fresu, Daniele Di Bonaventura
Montaggio: Claudia Landi, Fabrizio Ferraro


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