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Tutto ciò che ho praticato finora, lo chiamo opera
d’amore…
Medea sono adesso,
cresciuta è la mia natura
grazie alla sofferenza.

(Seneca, Medea)

 


Il cinema di Tonino De Bernardi è nato sottoterra, letteralmente: cinema underground germogliato durante gli anni della controcultura: cinema contro, che tale è rimasto – e tale è ancora – anche quando la cultura alternativa, la cultura dal basso, è passata di moda o si è trasformata in qualcos’altro (sistema). Cinema che a un certo punto si è ritrovato solo e che da solo si è dovuto ritrovare, una, cento, infinite volte, invisibile agli altri, forse finanche a se stesso: “è cinema, questo?” si sarà chiesto Tonino ogni tanto, mentre filmava, famelico, ogni attimo di vita che gli passava davanti, per preservarlo, salvarlo, dal tempo e dalla morte1. Cinema saggiamente ingenuo, fanciullesco, quindi meravigliosamente sperimentale: poiché in continua crescita, verifica, ricerca, in primo luogo di se stesso e dunque/poi del mondo là fuori. Cinema dirompente ed eversivo: fuori norma, fuori tempo, fuori-del-tempo2. Cinema libero e campestre, isolato e dimenticato nelle lontane province cui (si) è confinato. Cinema autarchico, chiuso nel suo orto ma instancabilmente proteso verso l’esterno, verso l’altro. Cinema errante, nomade, straniero, figlio di una necessità, di un’urgenza che ne permette l’infinito dispiegarsi e che risponde ad una primaria esigenza: sentire, comunicare, entrare in contatto con qualcuno.

Médée Miracle, per stessa ammissione del regista, può essere considerata l’opera “più normale” nella sterminata filmografia di De Bernardi: girata prevalentemente a colori, in 35mm3, con una durata “convenzionale” di circa 90 minuti ed una storia che adatta il mito di Medea in una Parigi contemporanea, è una pellicola idealmente pensata e destinata alla distribuzione nelle sale cinematografiche. Anche la presenza di Isabelle Huppert, senza dubbio l’attrice più nota con cui il regista piemontese abbia mai lavorato, inseguita per anni dopo un folgorante incontro a Locarno, permette a questo film di assumere sembianze “più comuni” nel panorama cinematografico tradizionale. Ciò non toglie che il film, lungi dal costituire una grossa produzione, è stato comunque realizzato in poco tempo, con pochi soldi e con l’aiuto di tanti amici. Médée Miracle deve essere dunque considerato alla stregua di una (ennesima) cronaca del sentimento e del sogno: sogno e sentimento in primis dello stesso De Bernardi, uomo-cineasta-viandante che da sempre desidera arrivare agli altri, al pubblico, senza doversi tradire, senza dover snaturare o rinnegare il suo lavoro precedente: «io voglio ripristinare il concetto di villaggio: io parlo al villaggio, anzi per i pochi dentro un piccolo villaggio, e poi vado a cercarne un altro, passo da un villaggio all’altro» (De Bernardi in Francia di Celle – Toffetti 1995, p. 21).

La Medea di De Bernardi (il cui nome completo è Irene Medea) è molto diversa da quella euripidea tramandata nei secoli e arrivata sino ai giorni nostri, conosciuta sostanzialmente come la madre che ha ucciso i propri figli, accecata dall’odio e dalla gelosia4. Come quest’ultima, anche lei ha lasciato e tradito il suo paese di origine (nel film la Colchide diventa la Romania) per seguire il suo grande amore, Giasone, che però ora la respinge e le preferisce un’altra donna causandole un dolore senza fine; come quest’ultima, anche lei si trova ai margini della società, anche lei è una reietta in una terra non sua (nel film Corinto diventa Parigi). Irene Medea, però, è una donna che sopporta il male che le viene inflitto e si sacrifica per il bene altrui. Volendo individuare un riferimento, si dovrebbe piuttosto pensare alla Medea di Christa Wolf: «una donna travagliata sì dall’amore, ma ancor più dall’incapacità degli abitanti di Corinto di integrare una cultura come quella della Colchide, per sua natura non incline alla violenza. Non un’infanticida dunque, al contrario una donna forte e generosa, depositaria di un remoto sapere del corpo e della terra, che una società intollerante emargina e annienta negli affetti fino a lapidarle i figli» (Chiarloni in Wolf 2005, p. 228).

Al pari di Christa Wolf, il cineasta piemontese rilegge il mito offrendone un’interpretazione che diverge sensibilmente da quella canonica che, da Euripide in avanti, identifica Medea come infanticida. Ma se l’autrice tedesca compie un lavoro di carattere epistemologico, studiando e rielaborando frammenti di un racconto mitologico provenienti da fonti diverse, l’operazione di De Bernardi è più creativa e radicale: egli infatti stravolge la narrazione al punto tale da permettere la sopravvivenza dei figli di Medea e Giasone. In Médée Miracle non si compie né infanticidio né omicidio alcuno, sebbene questo rischio esista, come dimostra la presenza costante del colore rosso che evoca più il sangue che la passione. Nella seconda parte del film, però, la protagonista riesce a sconfiggere la tentazione di uccidere i propri bambini in nome del suo folle amore, incubando e contenendo nel suo corpo l’odio e il male da lei subito. Dopo giorni di malattia, tornerà alla vita nel momento in cui sceglierà di donarsi totalmente agli altri, rinunciando a Giasone e a ogni altra pretesa egoistica, arrivando persino a privarsi dei suoi stessi figli. Il suo è un abbandono senza ritorno e al contempo un darsi senza limiti: un sacrificio nell’accezione batailliana del termine, poiché «sacrificare non è uccidere, ma abbandonare e donare» (Bataille 2008, p. 43). È qui che si compie il miracolo.

La Medea interpretata da Isabelle Huppert differisce dunque tanto da quella euripidea, tanto da quella ricostruita da Christa Wolf, divenendo una figura a se stante, tra le più belle apparse nella filmografia di De Bernardi5. Come suggerisce il suo nome composto, inoltre, Irene Medea richiama a sé anche un altro personaggio femminile: Irene è il nome della protagonista del film La paura di Roberto Rossellini, che a sua volta ricorda sotto certi aspetti l’omonima eroina di Europa ’51. Questo collegamento diventa chiaro nella parte finale della pellicola, in particolare quando Irene Medea pronuncia la frase “non credo più all’amore”6. Come nell’opera di Rossellini, l’atto dell’aprirsi, del confessare, è centrale in Médée Miracle poiché «è in questa possibilità di saper confessare che si raggiunge una certa umiltà e soprattutto un grande spirito di tolleranza» (Rossellini in Aprà 1987, p. 202). L’ultimo dialogo tra Irene Medea e Giasone, in una delle scene più belle del film, segna un reciproco pentimento e una riconciliazione resa possibile dal sacrificio della protagonista.

Il film di De Bernardi a questo punto si presta a diverse letture. Come visto, il mito di Medea cela al suo interno una profonda riflessione sulla figura dell’altro, dello straniero, e sul pregiudizio di cui spesso quest’ultimo è vittima. Medea – che è alterità per eccellenza: donna, sapiente e straniera – diviene il capro espiatorio contro di cui si scaglia una società razzista e intollerante. Alla luce dell’odierno quadro sociopolitico europeo, Médée Miracle – realizzato nel 2007 – assume una valenza tragicamente premonitrice. Parigi, la città dove è ambientata la pellicola, oggi è il simbolo di un’Europa pericolosamente chiusa in se stessa, che troppo spesso cede all’odio e alla paura. La recente sospensione della Convenzione di Schengen da parte di alcuni Stati membri per limitare l’immigrazione internazionale rappresenta solo uno dei tanti esempi possibili. L’avanzamento di partiti appartenenti alla destra estrema come il Front National in Francia o la Lega Nord in Italia parla chiaro. L’Europa deve aprirsi al mondo altrimenti le sue acque e le sue terre si macchieranno di sangue più di quanto non lo siano già. In questo senso il film di De Bernardi è di un’attualità sconcertante. La scena di Irene Medea davanti al giudice che le nega l’affidamento dei figli e le intima di tornarsene nel suo paese palesa esattamente questo: la Francia (l’Europa intera) si rifiuta di essere “colonizzata” in quanto paese storicamente (divinamente?) colonizzatore.

D’altra parte, non è difficile riconoscere dietro la Medea di De Bernardi il suo stesso cinema, da sempre bistrattato, ignorato, relegato ai margini del sistema. Un cinema incontaminato, proprio perché provinciale, ma diventato ben presto invisibile al di fuori di pochi festival e di rari passaggi televisivi (Fuori Orario). Un cinema libero e vivace, incapace di sottostare alle logiche ferree dell’industria cinematografica e per questa ragione tagliato fuori da ogni tipo di circuito, sia produttivo che distributivo.

Con Médée Miracle – lo si diceva in apertura di questo scritto – il regista piemontese realizza senza dubbio la sua opera “più normale”, con cui egli probabilmente sperava di raggiungere quella visibilità che gli è stata a lungo negata. Anche la scelta di ambientarlo in città, a Parigi, si inserisce in quest’ottica. Il passaggio dalla campagna di Casalborgone, per anni e anni casa-set del regista, alla metropoli francese può essere letto come un salto, un avvicinamento, un tentativo di confrontarsi e mischiarsi con qualcosa di alieno alla propria natura (e non a caso il processo di salvifica guarigione/trasformazione di Irene Medea si realizza lontano da Parigi, in campagna).

Sarebbe però un errore ritenere Médée Miracle una resa a favore del mercato e dei suoi rigidi standard: si tratta piuttosto di un modo per esercitare un «diritto alla vita, per non morire calpestato» (De Bernardi in Francia di Celle – Toffetti 1995, p. 29). I cartelli che si susseguono verso la fine del film esemplificano a chiare lettere questo sogno/desiderio di Irene Medea/Tonino De Bernardi: “Io voglio semplicemente vivere” – “Io voglio vivere” – “VIVERE”. Il sacrificio di Irene Medea coincide dunque con il sacrificio di De Bernardi. Al pari della sua eroina egli si abbandona e si dona incondizionatamente agli altri. Ne scaturisce un miracolo. Come recita l’ultimo cartello del film “la storia di Irene Medea comincia solo adesso”. Quella di Tonino De Bernardi pure, basta volgere il nostro sguardo verso di lui.


Note

1. Nelle parole del regista: «Ma allora per me non si trattava quasi neppure di visivo ma di strappare brandelli di carne, sottrarre al flusso che ci scorre sopra e ci porta via, insomma combattere la morte, io cioè allora facevo anche il cinema per “documentare la vita”, per strappare alla morte, al silenzio, fissare l’attimo, quello che non torna più, fermare l’irripetibile: ero il bambino che crede che sia possibile quello che invece è impossibile, cioè io allora ero ancora bambino, non ancora cresciuto, ma neppure ora a ben guardare…» (De Bernardi in Francia di Celle – Toffetti 1995, p. 27).

2. «E come qualcuno ha scritto l’elogio dell’ombra, vorrei a questo punto tessere quello dello star fuori del proprio tempo, quando lo star dentro significa solo conformarsi, adeguarsi, essere uguale e conforme a, e se mai, quello che personalmente mi preoccupa, è se mai il non essere abbastanza, radicalmente, cocciutamente, fuori» (ivi, pp. 28-29). ↑

3. Tonino De Bernardi è riuscito a realizzare il suo primo film in 35mm (Piccoli orrori, 1994) dopo quasi trent’anni dal suo esordio alla regia, avvenuto nel 1967 con Il mostro verde. Qualche anno prima aveva girato in 16mm un lungometraggio per la televisione (Elettra, 1987). Tutta la sua produzione precedente è unicamente in 8mm e Super8, oltre che in video a partire dagli anni Ottanta.

4. La Medea euripidea è alla base di diversi adattamenti cinematografici della tragedia, tra cui quelli di Pier Paolo Pasolini (Medea, 1969), Lars von Trier (Medea, 1988) e Andrea Pallaoro (Medeas, 2013).

5. La predilezione di De Bernardi per i personaggi femminili d’altra parte non è una novità, basti pensare a film come Elettra o, ancor prima, Donne, a proposito del quale il cineasta piemontese ha dichiarato: «Perché le donne? Perché mi interessano le donne appunto come persone. Perché parlano in un certo modo. Perché dicono certe cose. Perché fanno certe cose. Perché sono in un certo modo. Perché sono altro da me. Per realizzare la mia parte femminile, anche. Per il gusto di essere parziale, anche» (De Bernardi in Francia di Celle – Toffetti, p. 79).

6. “Non credo più all’amore”, oltre ad essere una delle battute finali del personaggio di Ingrid Bergman nel film di Rossellini, è il titolo con cui il film è stato ridistribuito nel 1958 in Italia.


Bibliografia

Aprà A. (a cura di) (1987): Roberto Rossellini. Il mio metodo, Marsilio, Venezia.

Bataille G. (2008), Teoria della religione, SE, Milano.

Francia di Celle S. – Toffetti S. (a cura di) (1995): Dalle lontane province. Il cinema di Tonino De Bernardi, Lindau, Torino.

Wolf C. (2005): Medea. Voci, edizioni e/o, 2005.





Titolo:
Médée Miracle
Anno: 2007
Durata: 81'
Origine: FRANCIA, ITALIA
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: 35mm
Produzione: Lontane Province Film, Stella Films, Les Films du Camélia, Arte France Cinéma

Regia: Tonino De Bernardi

Attori: Isabelle Huppert, Tommaso Ragno, Giulietta De Bernardi, Lou Castel, Isabel Ruth, Rossella Dassu, Marco Sgrosso, Julia Camps, Teresa Momo
Fotografia: Tommaso Borgstrom
Montaggio: Pietro Lassandro

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