alt«Takes a teen age riot to get me out of bed right now»
(Sonic Youth – Teen Age Riot)







La grana sporca, ruvida, da videotape d'accatto; il brutale thrash metal dei Gojira, che urlano tutta l'inquietudine di L'enfant sauvage; i caratteri gotici degli opening credits: dai titoli di testa Lupino ricorda i primi lavori di Harmony Korine (Gummo; Julien Donkey-Boy). Una somiglianza non solo di forma ma anche di sostanza: François Farellacci, come già l'autore di Spring Breakers, decide di guardare in faccia il mistero sinistro dell'adolescenza, cercandolo sui volti imperscrutabili, invulnerabili, dei suoi figli belli e sciagurati, registrando i battiti nervosi del loro cuore di tenebra.

«Lupino – come raccontato dal regista - è un quartiere della città di Bastia, in Corsica. Un quartiere periferico difficile, popolare e meticcio. Una decina di palazzoni tenuti lontano dal centro città da un tunnel, e chiusi tra la macchia mediterranea e la spiaggia. Orso, Philippe, Pierre-Marie, Jean-Marc e gli altri [...] sono ragazzi di Lupino. Appartengono a Lupino e Lupino appartiene loro.» Una suburra che sanno essere un'area di reclusione; non a caso, durante il piano sequenza iniziale, mentre la macchina da presa segue alcuni di loro mostrando come tutto attorno sia un recinto di case-alveari costruite al risparmio, questi si rimbalzano, assieme alla palla, la strofa di una canzonetta che fa: «“Ma quanto siamo strette in fondo a questa scatola” cantano le sardine, cantano le sardine».

A differenza di Korine però Farellaci sospende il giudizio e asseconda con la propria regia le traiettorie di sguardo dei ragazzi, che intravedono la minaccia rappresentata dal posto in cui vivono, il profilarsi di una condizione d'emarginazione; ciononostante non possono rifiutare il quartiere perché è tutto il loro mondo. Questa attenzione alla complessità dei soggetti coinvolti non può non investire l'impianto filmico che deve ripensarsi al di fuori dei diktat retorici e spettacolari. Lupino si presenta infatti come un “documentario di finzione”, una definizione con cui si pone in una zona grigia, fascia potenzialmente feconda di riscrittura dei codici; uno spazio liminale in cui sperimentare delle situazioni di vicinanza inedite.

Un breve sguardo macchina, in apertura del film, più che chiamare in causa qualcuno (lo spettatore), dichiara immediatamente la presenza e il coinvolgimento dello strumento di ripresa, che scopriremo disposto, come si vedrà in corso d'opera, ad assecondare le esigenze di autorapprsentazione dei ragazzi. Questi si relazionano alla camera come se fossero di fronte alla webcam del pc, o allo schermo dello smartphone: un altro specchio riflettente e deformante per restituire un'impronta ideale di sé alla quale vorrebbero assomigliare. Un aggiornamento della figura archetipica dell'adolescenza, quella di Narciso che si riflette alla ricerca della propria identità. Il cinema per loro è un altro modo in cui declinare quella complessa dinamica dell'auto-ritrarsi come gesto paradossale del “guardarsi dal di fuori” e oggettivarsi nell'immagine con cui ci si immagina. La verità è la posa (forma spesso meno artificiale – e comunque più rivelatrice – della naturalezza), lavoro cosciente di messa in scena di sé.

A chiusa e a chiosa di quanto scritto si può perciò riprendere Roland Barthes: «Poso, so che sto posando, voglio che voi lo sappiate, ma questo supplemento di messaggio non deve minimamente alterare...la preziosa essenza della mia persona».





Titolo:
Lupino
Anno: 2014
Durata: 50'
Origine: Francia
Colore: C
Genere: DOCUMENTARIO DI FINZIONE
Produzione: STANLEY WHITE

Regia: François Farellacci

Sceneggiatura: François Farellacci, Laura Lamanda
Fotografia: François Farellacci
Montaggio: François Farellacci, Laura Lamanda
Suono: Vincent Piponnier, Ugo Casabianca, Remi Gauthier

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