La_Morte_rouge_4Il regista, nel suo soliloquio, risale lentamente dal presente della città di San Sebastian, fino al passato remoto in cui, proprio lì, esisteva una sala cinematografica, il Gran Kursaal, luogo della sua prima proiezione, quando aveva cinque anni. Il film era L'artiglio scarlatto (1944) di Roy William Neill, con Basil Rathbone nei panni di Sherlock Holmes. Da allora, da quella prima visione "impressionante", la sua esperienza di uomo nel mondo è cambiata per sempre.



 

«Il vuoto mi sembrò il punto in cui si aspetta ciò che il mondo sta per fare all'occhio.»(Lorenzo Esposito, Il prossimo villaggio, CaratteriMobili, Bari 2011)


Trentatrè anni dopo Lo spirito dell'alveare, che alludeva al momento catartico della prima visione (cinematografica) – da cui dipendeva lo scenario sospeso, spessamente sensibile negli occhi di Ana, negli occhi dell'immagine-Ana, che pensava, si pensava –, Victor Erice torna a concentrarsi sul mondo dell'infanzia, nell'andirivieni della Morte Rouge, presentato quasi due anni fa nell'andirivieni de “Il vento del cinema – Procida 2009”, foss'altro che per il moto endemico delle onde, marca fenomenologica della dimanica di assesto/dissesto, a cui questo “evanescente” festival credo si leghi.

L'infante Erice crede realisticamente nell'immaginale del cinema, nelle sue prerogative di cristallizzazione delle percezioni, entro la cornice iconica, entro quegli scorci addensati di sostanza cromatico-luminosa e fonica, che formavano il panorama in cui si muoveva Ana e, con lei, si spostavano gli scorci stessi come delle placche che andando verso l'altro, lasciano scia di materiale, sformandosi e raggrumandosi secondo modalità proto-espressionistiche, vangohiane. Ma l'altro si trova inserito in un regime temporale piuttosto che spaziale: trapela in quanto altro momento del sé, mediante uno sfaglio (sbaveggiamento) verso il sé virtuale, da cui comincia la susseguenza immaginale, cioè reale, per via di sostanziosi intervalli. Non in quanto sgranatura di una teoria estetica, bensì di una fenomelogia. La realtà della poesia che (in)canta la natura, non fa che cogliere gli eventi delle cose, rendendoli possibili (visibili, vivibili), secondo un processo di restituzione delle percezioni agli intervalli preesistenti delle immagini {Rancière 2006}. È una potenzialità dell'universale {Deleuze 1989}, del suo andirivieni, che si consustanzia di volta in volta potentemente, in un (dis)ordine (restituzione del/al caos) di gesti essenziali, posture archetipiche: uno stadio nativo, disorientato, estraniato, che corrisponde all'infanzia del cinema, a un'immagine-infanzia (deformante, debordante) quale verità del reale.

Perciò il documentario, nel caso del Sol del membrillo e poi della Morte Rouge, si spiega in questi termini bazinianamente realistici: «rivelare il significato profondo degli esseri e delle cose senza infrangerne la naturale unità» {Bazin 1973, p. 91}, tale che il "profondo" degli elementi consiste nella congerie di movimenti originari, naturali, nativi, non in una dimensione extrafenomenolgica, ma nel loro nudo presentificarsi. Se ciò che conta è il reale, e se questo non è che potenzialmente e potentemente avverato dal cinema, allora ciò che conta nel fare cinema ericiano è il cinema stesso; sono le modalità di cristallizzazione fenomenologica, cioè di avveramento dell'immagine-realtà, ossia dell'immagine-infanzia.

La Morte Rouge parte, come El sol del membrillo, dal “qui e ora” della città placida e mormorante e da un elemento topico, il mare, intorno a cui ruota l'andare/venire dei concetti (anzi, per dirla ancora con Deleuze, dei pensieri-immagine) – costruzioni cubiche sul litorale di San Sebastian dove un tempo sorgeva il Gran Kursaal, imponente casinò della belle epoque, in seguito ridotto a sala cinematografica – per poi regredire, protendersi sul sé virtuale, su quella stessa infanzia mormorata dal mare.
Roy William Neill «inventò un luogo, La Morte Rouge, che apparteneva a un paese che sulle mappe non compare, chiamato cinema». È il paese (in)cantato al centro del primo film dell’infanzia di Victor Erice, The Scarlett Claw (L’Artiglio scarlatto, 1944), scenario inesistente, sebbene collocato da Neill nel Quebec, fatto della stessa fibra germinante, eroticamente tattile, del Frankenstein di Whale e dello Spirito dell’alveare, nonché di quel Flor en la sombra inventato da Erice nel Sur: un paese-cinema che è realtà intensiva e fonde attualità e finzione in una complessiva storia naturale (ancora Deleuze).

La Morte Rouge affonda progressivamente nella fitta trama, nel saturo intervallo di ombre sul muro, anamorfosi proprie della potenzialità dell’immagine-infanzia, sovrimpressione specifica, in(di)visibile del vasto visibile: artigli, sagome del postino Potts e di treni semoventi, la sombra stanziale come esausta alla luce di cera, o profilo di fronde fuori dalla finestra che inquietavano Ana e Isabel e poi il sogno di Lopez; relique, orologi, accordati al suono del pianoforte (come l'orologio da tasca del padre, nello Spirito dell'alveare, che misurava il tempo, emanando la sua musica stereotipata), prima del riaffiorare del mare.

«Si può dire che solo il mare rimane, il resto è diverso o si è cancellato con il tempo, come le orme di passi sulla sabbia». Lo spirito delle cose consiste nell'energia intrinseca alle cose stesse che le forma e le dissolve, impulso (costante) alla granulosa, perpetua presentificazione. Come lo spirito dell’alveare e quello del membrillo, solo il tramestio del mare, la sua tattile liquidità, resiste a ciò che il tempo cancella e rinnova, immagini-mondo legate inscindibimente alla fermentazione (delle melecotogne), al dissiparsi di ciò che si fa presente, agli esseri disperatamente protesi sulla propria (s)comparsa.


Bibliografia

Bazin A. {1973}: Che cosa è il cinema, Garzanti, Milano.

De Gaetano R. {2002}: Il visibile cinematografico, Bulzoni, Roma.

Deleuze G. {1989}: L'immagine-tempo, Ubulibri, Milano.

Rancière J. {2006}: La favola cinmatografica, ed. ETS, Pisa.



 

 

Titolo: La morte rouge
Anno: 2006
Altri titoli: Soliloquio
Durata: 32
Origine: SPAGNA
Colore: C
Genere: CORTOMETRAGGIO
Produzione: NAUTILUS FILMS

Regia: Víctor  Erice   

Attori: Víctor  Erice (Narratore, v.o.)
Sceneggiatura: Víctor  Erice     
Fotografia: Valentín  Álvarez     
Musiche: Teresa  Fernández Ramos     
Montaggio: Juan Pedro  Díez     
Effetti: Carlos  Caballero Valdés


http://www.youtube.com/watch?v=jrqsNfjDeFg

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