Una sperduta centrale termica dismessa in Siberia, un edificio fatiscente, dai muri scrostati, immerso nelle lande desolate, coperte di ghiaccio, un paesaggio rarefatto ed estremo. È il maniero di un uomo dal volto coperto perennemente da una maschera di cera, che passa il suo tempo a riempire gigantesche lavagne di formule matematiche e fisiche, immerso in teoremi e principi astratti. Capace di masturbarsi calzando delle scarpe femminili rosse dai tacchi a spillo ed esclamando “Plutone!” al momento dell'orgasmo. Tre nani dotati di poteri paranormali, telepati – comunicano tra loro con il pensiero, senza aprir bocca – sono incaricati della missione di raggiungere quella vecchia cattedrale nel nulla e di impadronirsi furtivamente della cosa più preziosa in essa custodita: la distanza. A ciò si aggiunge un barile fumante, in grado di parlare, sempre in via telepatica, in russo ma anche in giapponese.


Sergio Caballero, regista e poliedrico artista catalano, si è fatto conoscere con il suo precedente lungometraggio Finisterrae, che si muoveva lungo due direttrici cinematografiche ben precise, La via lattea di Buñuel e La cicatrice intérieure di Garrel, riprendendo dal primo il pellegrinaggio verso Santiago de Compostela e del secondo il paesaggio lunare, deserto, estremo, la finis terrae. Stavolta Caballero si rifà espressamente a Stalker di Tarkovskij, l'avventurarsi, da parte di un manipolo di avventurieri, in una zona remota, una terra di nessuno, governata da perturbazioni delle leggi della fisica, per impadronirsi di un tesoro misterioso, e il classico heist movie. Ancora una finis terrae, ancora un paesaggio desolato, brullo, innevato, arso, rarefatto. La location reale è peraltro la zona di Teruel, in Spagna, già carica di drammatica memoria storica, essendo stata teatro della battaglia decisiva per la vittoria di Franco nella guerra civile. E ancora un senso estremo di surrealismo di derivazione buñueliana. E poi riferimenti, anche irriverenti sparsi qui e là. Il regista cita come fonte primaria d'ispirazione, oltre Tarkovskij anche Kung Fu Panda, evidentemente per gli aspetti picareschi, la caratterizzazione buffa data ai nani, la ricerca della pergamena. Con un minimo di forzatura potremmo anche trovare Ozu nel barile fumante che parla giapponese, un'evocazione delle tante immagini di fumo, simbolo dell'impermanenza, del grande cineasta nipponico. E che dire poi del grande salume, come una mortadella, che porta in effigie il nome di Yoko Ono?

Alla fine di tutti questi giochini, Caballero fa trapelare un sottile discorso sull'immagine, sulla sua genesi e la sua consistenza ontologica e la sua riproducubilità. La camera oscura dove si sviluppano le foto, la sequenza di fotogrammi, i giochi di specchi, il periscopio rudimentale, un sistema di specchi paralleli inclinati in grado di spiare, riprodurre e riportare immagini. Si arriva al globo, alla palla di immagini, l'approdo del film, contenitore di tutte le immagini, immagine ultima del film stesso.
La fotografia del film si gioca sulla composizione di immagini anche molto complesse, i paesaggi con frequenti campi lunghissimi, o gli interni della centrale, labirintici, dai muri scrostati che disegnano geometrie alla Piranesi. E poi c'è la ricerca sul suono, particolarmente caro a Caballero che è codirettore del Sonar Festival di Barcellona sulle arti multimediali. In questo film crea una sonorità attraverso il melting pot linguistico, fatto di russo, ma anche giapponese, tedesco e ungherese: una polifonia di voci.
La “zona” disegnata da Caballero è un incrocio di paesaggi, una terra dove non esiste il tempo, un luogo dove confluiscono fisica, magia, antropologia. Dove può avvenire la lievitazione, come in Stalker. Il regista sancisce così la libertà assoluta per la sua pellicola di svincolarsi dalle leggi della fisica del cinema. Di osare fare un film senza sceneggiatura, che si costruisce dalle suggestioni delle location, che si avvicina alla concezione della pittura e della composizione musicale.


Nota: in concorso al 43° Festival Internazionale del Film di Rotterdam





Titolo: La distancia
Anno: 2014
Durata: 80
Origine: SPAGNA
Colore: C
Genere: GROTTESCO
Specifiche tecniche: DCP
Produzione: SERGIO CABALLERO, IBON CORMENZANA, SÓNAR / ADVANCED MUSIC AND MULTIMEDIA ART, ARCADIA MOTION PICTURES

Regia: Sergio Caballero

Attori:
Michal Lagosz, Alberto Martínez, Jinson Añazco, Roland Olbeter, Vidi Vidal.
Sceneggiatura: Sergio Caballero
Fotografia: Marc Gómez del Moral
Montaggio: Martí Roca
Musiche: Pedro Alcalde, Sergio Caballero
Suono: Pedro Alcalde

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