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Corpi sofferenti, costretti all’immobilismo, si susseguono in scene apparentemente scollegate e mute: le sole parole dette filtrano attraverso apparecchi radiofonici, le note liriche sono tutto ciò che resta di un’impossibile narrazione che punteggia il film.
L’attore feticcio di Tsai Ming-Liang, Lee Kang-sheng, viene aggredito a causa di un debito di gioco; uno sconosciuto si prenderà cura di lui, mentre parallelamente una giovane ragazza passerà le proprie giornate ad accudire un corpo gravemente ammalato. Tra questi personaggi si instaurerà una relazione erotica al limite tra completezza e mancanza. Bandito è il senso (della vita e della sofferenza) in un finale che non contempla possibilità di coerenza nel mondo.

 


«Schiude i pori
delle mani una luce imprigionatavi» (M. Luzi)

Un CORPO solo è SOLO un corpo,
la sua veglia un sonno, il suo sonno una morte su cui veglia un accenno d’esistenza.Gli occhi svuotati dalle orbite sono ciò che resta della vi(s)ta in un corpo semivivo: lo sguardo fisso sul fenomeno, la fuga immobile, la lotta contro la gravità: forma larvale di esistenza attorno alla quale si chiude un bozzolo, a separarlo dal mondo fatiscente, ad attorcere gli organi sfiniti (non finiti) sul membro che ingenera masturbazioni disperanti e rimane nella staticità di un’indicibile attesa.

Protetto da un involucro innaturale (una spugna pesante, pregna di mondo) il corpo-larva rimane come scarto di macerie nella lunga durata. La perversione erotica dei corpi, morti di fatica o addormentati nella solitudine di spazi claustrofobici, trasfigura la materia, liberandola dall’automatismo inumano dello sfinimento, e alleggerisce le membra nell’apnea del coito.
Sempre il desiderio è perversione esasperata dei corpi: lo sguardo non indugia su particolari espliciti del sesso, ma sul senso di mancanza che drammatizza il bisogno di possesso per sfogarsi in perturbanti ossessioni onaniste.

Le ferite degli organi non sono che il riflesso sbiadito della sofferenza insita nella impossibilità della fusione. La pornografia in Tsai Ming-Liang equivale ad una vera e propria poetica della crudeltà, al limite con la beckettiana disperazione comica per l’assurdità dell’esistenza. Lo sguardo del regista è l’emblema stesso di questa perversione: indugia nell’attesa dell’evento in cui l’oggetto del desiderio sfugge alla contemplazione e i corpi sono soggetti a forze di intensità erotiche insostenibili, insiste su sforzi titanici che disarticolano gli organi in un’attrazione per il vuoto che nega pervicacemente il nulla, registra pazientemente le tracce che il tempo scava sul corpo delle persone, nel decorso irreversibile della vita.

Gli occhi spalancati sulla fissità si fanno testimoni dell’assenza di gravità stratosferica, dell’attimo di tregua in cui improvvisamente tutto può succedere. L’azione non scaturisce dal movimento ma dalla pressione di forze invisibili su corpi immobili - ad un tratto il punto di fuga si genera dallo sguardo vuoto, da una bocca spalancata piuttosto che da un membro proteso nel palmo vergine della mano.
Il bozzolo che contiene il corpo informe rappresenta l’ultimo residuo di integrità in un mondo grondante frantumi: su quella piattaforma mobile e fuori luogo può ancora avvenire l’atto di fusione necessario al farsi e disfarsi di un corpo-solo in-forma completa. A questa impossibile formulazione serve il terzo, l’Altro di cui mancano eternamente le coppie e che consente la ripetizione della meccanica del desiderio come il tempo nel tempo, senza fine.
Il bozzolo-materasso è il non luogo dell’abbraccio che mescola gli organi: la ricerca del piacere coincide con la ricerca stessa della felicità, non svincolata dal corpo ma il cui fine ultimo la trascende perché il corpo è sempre sofferente, l’accoppiamento sempre mancante, la felicità imperfetta.


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Nel trittico del 1972 (Three studies of figures on beds), Bacon isola la Forma: figura non un volto, né un organo definito e agendo per sottrazione decompone in sequenza Corpi senza Organi che compiono impensabili sforzi su se stessi per essere nel vuoto dibattendosi tra l’assenza soffocante e l’eccesso di essenza.
Il movimento convulso limitato nella circoscrizione di un materasso sospeso rende visibile il Tempo (della deformazione) rompendo i canoni della rappresentazione e ignorando qualunque narrazione cronologica. Quello che conta è la rotazione in lotta, la confusione ellittica delle sensazioni che rompono il limitare nel bozzolo; la sequenza sclerotizzata delle immagini espone solo il tentativo di riterritorializzare il vuoto e scongiurare il rischio del nulla. Nel punto estremo della dissipazione cosmica, la crisalide diviene sul limitare delle macerie, gli organi non si sfaldano ma si saldano nella perfezione di un luminismo magico.Annullata la gravità non resta che la luce: l’immagine¹ si irraggia leggera dalle mani – sfarfalla il sogno.


Note

1. Fuori dal bozzolo la crisalide diviene immagine (o farfalla): struttura sensibile che respira.

 


 

Titolo: I Don't Want to Sleep Alone
Anno:
2006
Durata:
115 min
Origine:
TAIWAN, FRANCIA, AUSTRIA
Colore:
C
Genere:
DRAMMATICO
Specifiche tecniche:
35 MM
Produzione:
SOUDAINE COMPAGNIE, HOMEGREEN FILMS CO.

Regia: Tsai  Ming-liang

Attori: Lee  Kang-sheng (Hsiao-Kang); Norman  Atun (Rawang); Chen  Shiang-chyi (cameriera del bar);  Pearlly Chua (titolare del bar)
Soggetto:
Tsai  Ming-liang
Sceneggiatura:
Tsai  Ming-liang
Fotografia:
Liao  Pen-jung
Montaggio:
Chen  Sheng-Chang
Scenografia:
Lee  Tian Jue
Costumi:
Sun  Huei-Mei


Riconoscimenti

Reperibilità


http://www.youtube.com/watch?v=Azu197bM2Zk

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