altQuale peso incunea i sensi sino allo sgretolamento? E quale l'elettricità che scossa, squassa e conclude macerando?
In Haemoo le forme umane si brutalizzano catatoniche, precipitano in una perdita di coscienza, rovesciano in abusi di sangue. Nei muscoli una paralisi malata, nel cuore un moltiplicarsi di crepe: si attraversa il disordine e si giunge all'immondo. Diretto da Shim Sung-bo, basato sulla strage del 2001 della Taechangho, il film registra la traversata verso la Corea del Sud di un equipaggio di pescatori alle prese col trasporto, e la conseguente morte per asfissia di 25 immigrati.

Il flusso della rovina si fonde negli organismi ridotti a larve di violenza assemblati in un nuovo senso di privazione: «varcando le frontiere si giunge all'animale: all'animale in sé, l'animale in me e all'animale che ci si sente mancante, un animale mancante di sé» (Derrida 2006).
A seguire il decesso una nebbia di macellazioni, un fiume di materia decomposta. E si sta tutti confinati nella foschia che sgrana, mescola frattaglie come animali a trascolorare in miasma, in pressa di velocità. Il sinistro s'arrampica sull'equipaggio, fodera di velluto l'imbarcazione, la stiva e le reti. Tutto si spegne in un vapore di ossa, e sì che «persino la morte può essere pensata come un incrocio di reazioni dalle velocità troppo differenti» (Deleuze-Guattari 2006).

La condizione germina dalla sua traccia storico-sociale, dall'evento acuto, molare, che raduna e popola, cita ma se ne allontana. È solo un accessorio. Se ne libera e scava, orla, opera: «conta soltanto il processo stesso dell'immigrazione e sono delle pure variazioni cronologiche e quantitative che conferiscono al luogo d'invaginazione l'aspetto di un orifizio, di una fessura o di una linea primitiva» (Dalcq 1969). C'è una scatologia cruda che non ammette alleanze bensì proliferazioni di paranoia; si dice: un'estetica del male che scivola in un involucro di messinscena. E questa scissione dal documento di denuncia sociale, per quanto circoli nel suo limite d'asfissia (proprio per il suo superamento del verosimile) è, di fatto, prode congedo dalla retorica, dalla cronaca, distanza dalla vita: finzione: cinema.

Si tratta di entrare per il fantasmatico a compiacersi della putredine: disordine, anarchia, crudeltà: quindi strappare un episodio, un enunciato, farne esplorazione di sensi e articolazioni; «dell'organismo bisogna conservare quanto basta perché si riformi a ogni alba» (Deleuze-Guattari 2006) cosicché dell'invenzione poi non resti che una «coniugazione di flussi diversi» (ibid.), un essere pronti a invadere, manipolare, evitare e rivelare la soglia dell'immondezza: creare.

D'altra parte esistere non è che un esser complice di ripetizioni organiche macchinalmente stese e stordite a sbranare, a incoronare la devianza nei sotterranei dell'abuso: «le bestie vi godono la vita ‑[...] vi danno e ricevono la morte» (Saba 1911). Si parla di aggressività guerresca come d'una stortura necessaria, «forza che sempre vuole il male e il bene crea» (Goethe 1969), lotta onnipresente che è pressione selettiva, canto per la sopravvivenza, filtro in corpo. Difatti parrebbe che un principio gerarchico starebbe a arginare la lotta, a creare forme di aggressività riutilizzate: in fondo «l'animale sano è attivo se fa qualcosa» (Lorenz 2008).

In questo caso l'equipaggio va plasmandosi per via delirante in un movimento generato dalla proprietà espansiva e tossica del suo leader: il comandante convince i sodali ad aderire autistici al fenomeno distruttivo. C'è una fascinazione nel principio di aggressività che intravede alla sua base un rapporto speculare con l'immagine perturbante del sé, dell'«intrusione dell'altro nello stesso» (Recalcati 2004), della prossimità col differente.
Ma in mezzo alla tenebra un desiderio astrale, uno spingersi vivi nella carne, un sentirsi addosso l'alito di chiome primordiali, l'infanzia tra le ginocchia, il verdazzurro nei corpi: dal ventre della nave si getta un fiato d'affanno e, in un lamento libidinale si guadagna (e dimentica) la costa.
«Era un gelo nel cuore; e un'oppressione, un malessere, e nella mente un invincibile orrore, che la rendeva inerte a ogni stimolo della fantasia» (Poe 1985).


Bibliografia

Derrida J. (2006): L'animale che dunque sono, Editoriale Jaca Book, Milano.

Deleuze G., Guattari F. (2006): Mille Piani, a cura di M. Guareschi, A. Castelvecchi Editore, Roma.

Dalcq A. (1969): L'ouef et son dynamisme organisateur, A. Michel, Parigi.

Goethe J. W. (1965): Faust, Einaudi, Torino.

Lorenz K. (2008): L'aggressività, Il Saggiatore, Milano.

Poe E. A. (1985): Racconti del terrore, A. Mondadori Editore, Milano.

Recalcati M. (2004): Sull'odio, Paravia B. Mondadori Editori, Milano.

Saba U. (1911): Poesie, Casa Editrice Italiana, Firenze.





Titolo: Haemoo
Anno: 2014
Durata: 111
Origine: Sud Corea
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Produzione: LEWIS PICTURE
Specifiche tecniche: 2.35:1, 35 mm (anamorfico) D-Cinema

Regia: Shim Sung-bo

Attori: Yun-seok Kim (Capitano Kang Chul-joo), Yoo-chun Park (Dong-sik), Ye-ri Han (Hong-mae), Seong-kun Mun (Wan-ho), Sang-ho Kim (Ho-young), Hee-jun Lee (Chan-wook), Seung-mok Yoo (Kyung-koo), In-gi Jeong (Clandestino), Kyung-Sook Jo (Yool-nyeo).
Sceneggiatura: Shim Sung-bo, Bong Joon-ho
Fotografia: Kyung-pyo Hong
Montaggio: Jae-beom Kim, Sang-beom Kim
Musiche: The City of Prague Philharmonic Orchestra
Costumi: Se-yeon Choi

Riconoscimenti


http://www.youtube.com/watch?v=WISJlDvCR-s

Tags: