Bella, anzi bellissima, la storia di Emanuela Ligarò, in arte Gold Mass, “artigiana delle frequenze” che col suo primo demo, arrivato solo dopo un apprendistato di studi, ascolti e composizioni durato anni, conquista l’attenzione di produttori internazionali del calibro di Howie B, che ha prodotto fra i tanti Björk, gli U2, e l'oscuro Tricky, di Marc Urselli, che tutti ricordano come produttore di Lou Reed, Nick Cave, Patitucci, Mike Patton e Jhon Zorn, e di Paul Savage storico produttore dei Mogway, con cui poi è effettivamente entrata in studio per lavorare a Transitions, l’album che uscirà ad Aprile 2019.

Happiness in a Way, il singolo disponibile online dal 2 Ottobre è solo l’approdo temporaneo di un percorso in cui le competenze professionali nei campi dell’acustica e della fonica (laureata in fisica, esegue simulazioni e misurazioni acustiche per il reparto ricerca e sviluppo di una multinazionale) si fondono a quelle artistiche «Mi sono formata come pianista classica, ed è il pianoforte lo strumento con cui compongo quasi sempre. Lo studio sulla parola, che per me è fondamentale, mi proviene da Nick Cave e Dylan, ma anche dai cantautori italiani degli anni settanta». Un coacervo di abilità coagulatesi lungo gli anni di un severo apprendistato, il cui valore formativo lei ha sempre anteposto a quello ostensivo del prodotto di mercato. Una credibilità musicale e letteraria diuturnamente in fieri, voluta e ricercata, che non cede il passo alla seduzione di quella visibilità moltiplicatoria e facile, che in epoca digitale sembra essere diventata la misura unica della riuscita di un musicista

« […] Non faccio musica d’intrattenimento, scrivo solo cose che vivo. Non c’è alcuna malizia o superficialità nel momento creativo e non c’è proprio la considerazione per un potenziale ascoltatore o per quelli che potrebbero essere i suoi gusti musicali, scrivere è per me prima di tutto un atto intimo. Non esiste altro. I miei pezzi nascono sempre da una tensione, neanche risolta, che prima ho avuto bisogno di esprimere a parole per capirla davvero e poi di condividerla per cercare di alleggerirla, sperando di emanciparmi da me stessa. L’arte è sempre un esorcismo, questa è la verità».

Il Background musicale di Emanuela è alquanto vario e lei ama lasciarlo riaffiorare nelle sue creazioni insieme alla mappatura emozionale del tempo che si trascina appresso «sono come stratificazioni emozionali che via via, con gli ascolti, con l'accadere delle esperienze, si sono depositate, reminescenze emotive ed estetiche che ritornano alla superficie in maniera quasi automatica, nel momento in cui mi esprimo». Il gusto per le melodie ariose e ben distese, che più facilmente si nota nelle parti vocali di brani come Our Reality, del singolo Happyness in a Way, ma anche dell'interrogativo May Love Make Us è un lascito dei molti ascolti di musica classica e operistica, oltre che, ovviamente, degli studi classici al pianoforte, che da anni la accompagnano: una melodiosità che nel suo incedere sospeso spesso si sposa, senza collidere mai, con certe screziature più intime e scure, ruvidezze del timbro che Emanuela contiene entro i limiti precisi di una vocalità comunque morbida, da cui pare riaffiorare il ricordo di certe tessiture femminili marginali, come la dolce e straziante Kazu Makino dei Blonde Redhead, in cui la vitalità emotiva di Emanuela si è come specchiata, o le ombrosità nevrili di Pj Harvey.

L'altra qualità di questo disco è quella di una sensualità tutta femminile, che secondo Emanuela stilla dalla musica latina tradizionale, che si profonde un po' ovunque nelle atmosfere, nel tono generale del discorso che Gold Mass fa sul mondo, ma che sovente si coniuga con un che di notturno e artificiale. Come un umore scuro e sexy di bassi digitali sprofondati in penombre di locale fumoso, un sentore di notturnità che si distende lento su brani come Our Reality e May Love Make Us, vicini all'attitudine di certo triphop scuro e morbido in cui si ritrovano echi portishediani (quelli più pastosi e ombreggiati di Wondering Star, per intenderci) e sound ancora più black e sintetici come quello di Sevdaliza.

Questo morbido velluto spesso di frequenze e scuro di colore, si avvolge carezzevole sui testi, intimi, ricchi di tensioni che si consumano sul crinale dell’anima («May love make us forgive and forget?») e di questioni forse insolute su un interno di donna («I always meant to be a/ a perfect day/ with no shame/ would you come and show?») ma anche su certe levità tutte femminili («come to light, take delight/ come to light, face the sight/ a taste that eased you/ grace on a gloomy day/ happiness in a way»). Gli arrangiamenti seguono questo fluttuare d'emotività ed espresione con ritmi rilenti e morbidi, poggiando su casse sempre prive di spigolosità o durezze, a tratti nude, a tratti espanse da bassi e sub-bassi di sintetica fattura, ipnotici  e pulsati, mentre i synth si incupiscono e si rischiarano, si stemperano o si rianimano, aprono e chiudono gli spazi secondando gli umori e le riflessioni della Ligarò.

C'è tutta una dimensione artigiana ed autoriale del comporre in questo suo fare musica che investe in pari grado il suo essere pianista e autrice di testi tanto quanto il suo essere una scultrice digitale di frequenze e timbri ottenuti per sintesi. Una pratica ibrida, analogica e digitale al contempo, in cui il "cuore" detta un'emozione, il labbro trova le parole che la dicono, mentre l'orecchio ne cerca il suono, che solo la mano troverà, manipolando fisicamente lo strumento, agendo sui suoi tasti, o sui suoi molti sliders e knobs (se di sintetizzatori si tratta). Una pratica analogo-digitale in grado di recuperare per via agentiva il nesso invisibile che lega l'interiore sentire d'artista con la cineticità del gesto artistico e che si avvicina sia alla modalità operativa del pianista o del violinista, che nelle variazioni impercettibili del tocco, nella tensione delle corde, ricercano la purezza di un timbro unico e irripetibile, sia alla vocazione letteraria (non necessariamente letterata) propria del cantautore tradizionale, che seduto al pianoforte con carta e calamo cerca minuziosamente il verso e il suono.

Campionatori e sintetizzatori come fulcro di una rinnovata autorialità cantautorale. Proprio con questa qualifica, «cantautrice», mi si era presentata Emanuela in una mail di qualche tempo fa: «Sono una cantautrice ed il mio nome d’arte è Gold Mass”» ed è innanzitutto l’applicazione pedissequa della definizione di “cantautorato” al tipo di lavoro che svolge, a necessitare di qualche ulteriore specifica. Una definizione, quella di "cantautore", il cui contenuto include essenzialmente due attività: quella di composizione delle parti musicali, la melodia e “gli accordi”, come semplicisticamente si dice, e quella di invenzione e stesura del “testo”, quella componente letteraria che dovrebbe, per lo meno nei casi migliori, determinare il peso extramusicale specifico di un brano, la sua qualità poetica o polemica, ideologica o emozionale.

Ed in questi due elementi, ma ancora di più nella loro interazione, si conchiude la sfera d’azione semantica del cantautore, nel senso che la totalità dei significati, dei sentimenti che esprime tutta si genera attraverso il modo in cui i contenuti significazionali delle parole e la loro metrica si “spalmano” sulla melodia e si incastrano nell’armonia, e nei modi attraverso cui queste due, con il loro portato emotivo acusticamente indotto, riescono ad aumentare tutti quegli aspetti di sentimento contenuti nel testo verbale.

Ora, applicando questo discorso alla pratica musicale di Gold Mass si avrà un esito esegetico assolutamente parziale. Vero è che gli aspetti compositivi e letterari («il testo è tutto») sono i pilastri fondamentali del suo fare musica. Le parole, lo abbiamo già scritto, sono il suo strumento di autoanalisi, il modo per comprendere e tentare di razionalizzare le passioni che la agitano, la sua terapia per l’emancipazione da sé, mentre gli aspetti compositivo-musicali puri diventano il tramite per far riemergere le molte stratificazioni affettive e stilistiche che sono la sua storia, i lasciti del suo passato emotivo-musicale recente e remoto: « E’ così che funziona, gli stimoli che ho ricevuto dagli ascolti riemergono in modo quasi inconsapevole quando mi esprimo. Per esempio, il mio background emotivo è legato tantissimo ai Blonde Redhead e mi sembra che nel mio album si sentano riecheggiare quelle atmosfere inquiete che si trovano nei loro dischi, e che ho sempre sentite mie caratterialmente, ma non ho lavorato in questo senso in maniera premeditata, non c’è calcolo degli effetti nel momento in cui compongo, semplicemente riemerge da qualche profondità nascosta.

Ogni cosa assorbita prende nuova forma e costruisce una nuova identità. Siamo quello che conosciamo rielaborato in modo autentico e sempre nuovo». Ma Gold Mass si colloca oltre. Ricordiamolo, parliamo di una fisica con competenze di alto livello professionale nel campo della fonica, per la quale frequenze, equalizzatori, analizzatori di spettro ed ampiezza sono il pane quotidiano (in tutti i sensi!!!) e che consapevolmente applica questi saperi ogni volta che si approccia a un synth o a una drum machine.

E’ a partire da qui che Emanuela può innescare un livello ulteriore di significazione, calandosi nell’interno di quelle sonorità il cui esterno sono la melodia e l’armonia, manipolandone come creta la segreta carne di frequenze acustiche, scolpendola e modellandola secondo forme dettate dalla sua emotività, dai suoi bisogni d’espressione. Il timbro, oltre che il tono, dei suoni sintetizzati che usa non è mai casuale, le loro qualità tattili di levigatezza o ruvidità, la loro leggerezza e il peso specifico, il loro ridare sensazioni di chiarore o scurezza, di apertura nello spazio o concentrazione, eccetera, non sono mai dettate dal solo strumento, come avviene negli strumenti analogici (chitarre, pianoforti ecc.) o come quando si usano i “preset”, i suoni preconfezionati, di cui sono dotati i sintetizzatori.

Nei brani di Gold Mass tutto ciò è frutto di un certosino lavoro di scultura fonica, di un rimodellamento frequenziale del singolo suono, e dunque dei suoi aspetti percettivi (il modo in cui lo sentiamo) che qui vengono forgiati in modo da rispondere a ben precise intenzioni di senso ed emozione: «Do priorità assoluta alle emozioni, i suoni che cerco sul synth mi devono impressionare, colpire sotto questo punto di vista. Non potrei mai gestire la creazione con la freddezza del chirurgo» e l’idea di questa totale intenzionalità del suono si chiarifica ulteriormente quando le chiedo di Our Reality, il brano sensualissimo e portishediano che apre l’album: «I suoni di Our Reality li ho cercati uno ad uno, la loro forma, il colore. Volevo che fosse calda e ipnotica e volevo che il primo suono fosse come un sipario che si apre su tutto l’album, quel suono che ho cercato scrupolosamente lavorando col synth. E’ un qualcosa che si lega al ricordo di quando mio padre mi portava a vedere l’opera, e quella tenda bellissima, pesante, di velluto, lentamente si apriva, ecco con quel suono, con quella specie di sommovimento delle frequenze che lo dinamizza dall’interno ho cercato di riportare quel tipo di sensazione, vellutata, lenta ed elegante…»

Suoni di cui si ricerca il colore, la temperatura, suoni che introiettano scaglie di ricordo, riproducono impressioni tattili, come quelle legate al velluto, suoni utilizzati come segnali discorsivi demarcativi o fatici, che al pari degli elementi verbali aprono o chiudono una interazione comunicativa proprio come un sipario (che è un dispositivo demarcativo non verbale, ma concreto) o servono a mantenre aperto il contatto comunicazioanle, suoni da plasmare come creta frequenziale, in cui riposano altrettanta emozione che in una melodia o in un accordo.

E’ questa una concezione di tipo "autoriale" dei processi di sintesi ed editing dei suoni, che non differisce da quella con cui si trattano la musica e la parola e che mi porta a ritenere quello di Emanuela un “cantaurato espanso”, una modalità di espressione autoriale in cui l'attributo di autorialità è da estendendersi oltre al dato musicale e letterario, alla forma degli stimoli sensoriali, e al tipo di ricezione sinestetica (la loro decrittazione in termini di sensazioni tattili, luministiche o spaziali) che ne hanno lo spettatore-ricettore, producendo un tipo di affettività difficilmente spiegabile a parole, perché sinestetica e preverbale, legata al modo del tutto prerazionale con cui il nostro sistema orecchio-cervello reagisce a certe frequenze e a certi ritmi. Toccare i suoni, ascoltare i colori, sonorizzare i ricordi, armonizzare emozioni, nella musica di Gold Mass questo è ancora possibile.

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