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La steppa russa, distanze impercorribili fanno da sfondo all'incrocio degli sguardi di Vera e Pasha, amanti destinati all'inevitabile epilogo, sotto lo sguardo di un dio assente.

 





E gli occhi s’aprono a questo scorrere arioso, alla dilatazione armonica del mondo addosso e la trama palpebrale s’alza e svela «un uomo solo, nudo, con gli occhi aperti a guardare l’oscurità (…) ed ogni sensazione si fa infinita. (…) le cose si sformano in aspetti strani: occhi che guardano, orecchie che sentono, braccia che si tendono» (Michelstaedter, p.58) e non c’è fede o certezza, non v’è possesso o strada prestabilita ma tutto corre e scorre in questo in-finire tragico nel panorama reale «poiché in nessun punto la volontà è soddisfatta, ogni cosa si distrugge avvenendo e passando» (Michelstaedter, p. 43).

Si schiude allo sciogliersi dei colori come un salto sulla scena, questo dramma confluito in intensità a priori: sincroniche emozioni tra Vera e Pasha, congiunzioni  d’entità, uno sguardo aperto al turbinio stellare di lui stretto al corpo celeste, quando la notte invade tutto, alle arterie stradali dirette ad un confine interminabile, alle rive/rime del fiume Don. Questa sorta di partitura musicale tra corpi/fiumi emersi sotto il peso incontrollabile del quotidiano, mentre una passione snocciola la sua bellezza nei ricami del cielo: «sono piuttosto consegnati a qualcosa d’intollerabile, che è la loro stessa quotidianità» (Deleuze, p. 54).

La macchina da presa percorre i passi di una Natura vergine, lontana da ogni sorta di inautenticità per partire dal principio, dal procedere ciclico del cielo che si svena e svela, infine, nella rappresentazione di un paesaggio crepuscolare in cui si prende coscienza di uno stato emozionale terribile-gioioso: un sentimento (quello tra i due protagonisti) che prende corpo, sgorga, sorge e si  rende visibile (leggibile) allo spettatore.

Un piccolo caos dove la vita è un nulla, questa fuga verso l’eternità scagliato nel delirio a ridosso del sole, un vivere-morire che si compie attraverso paesaggi sonori, atti di parola: «identità di concetto e immagine:il concetto è in sé nell’immagine, l’immagine è per sé nel concetto. (…) rapporto fra l’uomo e il mondo, fra l’uomo e la Natura, l’unità senso-motoria». Proprio per questo il commediografo teatrale Ivan Vyrypaev sceglie il cinema (anziché il teatro): per creare un’azione bidirezionale tra immagine e concetto: «Come dirà Bazin, l’immagine cinematografica si contrappone all’immagine teatrale in quanto va dal fuori al dentro, dalla scena al personaggio, dalla natura all’uomo. E’ tanto più adatto quindi a mostrare la reazione dell’uomo sulla Natura, o l’esteriorizzazione dell’uomo» (Deleuze, p. 181).


Bibliografia:

Deleuze G. (1989): L'immagine-tempo, Ubulibri, Milano.

Michelstaedter C. (1982): La Persuasione e la rettorica, Adelphi, Milano.





Titolo: Euphoria
Anno: 2006
Altri titoli: Eyforiya
Durata: 74
Origine: RUSSIA
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: 35 MM
Produzione: ALEXANDER SHEIN JR., GIYA LORDKIPANIDZE PER FIRST MOVIE PARTNERSHIP, FILM STUDIO 2PLAN2, THE MATCH FACTORY GMBH

Regia: Ivan  Vyrypaev

Attori: Polina Agureeva (Vera); Maxim Ushakov (Pasha); Mikhail Okunev (Valery); Vitaly Romanyuk; Yevgeniya Dmitriyeva; Olga Balandina; Zoya Zadorozhnaya; Yaroslavna Serova.
Sceneggiatura: Ivan Vyrypaev
Fotografia: Andrey Naidenov
Musiche: Aydar Gainullin
Scenografia: Yury Kharikov

Riconoscimenti

Reperibilità

http://www.youtube.com/watch?v=v_cATYchsJ8


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