Electroma2Parafrasando i Daft Punk: Electroma è un robotico videoclip che cerca in tutti i modi di trasformarsi in umano cinema. È la tragedia di due macchine autocoscienti che fallendo nel tentativo di farsi umane decidono di distruggersi in un deserto rosso di gusvansantiana memoria.



Si sta, di fronte a Daft Punk’s Electroma, come a un’opera di muta perfezione lievemente ermetica, di una laconicità inoppugnabile, con l’evidenza e al tempo stesso l’oscurità affascinante di un oggetto ritrovato.
Il primo film scritto e diretto (ma non musicato) da Thomas Bangalter e Guy-Manuel De Homem-Christo, altrimenti detti Daft Punk, si apre su un preistorico deserto roccioso riarso da una luce cruda, uniforme, spietata. Qui c’è una Ferrari 412 del 1987, nera, lucida, quasi un'opera d'arte minimalista. Il colore e il rigore geometrico dell’auto, la sua lineare spigolosa essenzialità riportano immediatamente a mente un artefatto di fattura pre-umana che, al momento della sua comparsa cinematografica, vanificò ogni sforzo semantico d’interpretazione: il monolito di 2001, riapparso l’ultima volta davanti al letto di Dave Bowman prima della sua trasformazione in “feto astrale”, in un pura essenza superomistica.

Ecco quindi ritornare il monolito, declinato in “splendore geometrico e meccanico”, in un contesto che rievoca quello della sua prima comparizione. Come in quei sanguinanti crepuscoli dell’alba dell’Umanità, anche adesso il misterioso corpo estraneo è avvicinato da fosche figure. Questa volta, però, da parte loro non c’è lo stesso terrore oceanico a livello spinale; del resto non si tratta più di ominidi ma di androidi: Thomas e Guy-Manuel. L’uomo futuro è stato sostituito dall’uomo del futuro. I due Daft Punk rappresentano il nuovo stadio evolutivo, sono un comandante Bowman tornato dalle stelle e da oltre l’infinito. Risultato di corporalità mutanti, codici immaginari, di ricercate contaminazioni tecnologiche, in cui il concetto di uomo si è offuscato fino a scomparire.

Saliti in macchina e lasciato il deserto si riavvicinano a uno spazio urbano che scopriamo perpetuatosi non attraverso la riproduzione della specie ma per mezzo di una riprogettazione dell’individuo, che nella tecnologia ha sublimato la propria obsolescenza organica. La proliferazione della tecnica in tutta la sua estensione e nell’influenza che esercita su tutto quanto è vivo va posta in parallelo con la degenerazione del sistema verbale. Dinanzi alla proliferazione tecnologica non troviamo altro che la proliferazione della regressione linguistica. E infatti Electroma è muto; porta alle estreme conseguenze quanto cominciato da Kubrick nella sua odissea spaziale, da cui riprende anche il carattere ellittico dell’azione, la stessa costruzione sequenziale per blocchi, lo stesso lavoro sul vuoto così come la stessa presa di distanza sull’affettività. Le molte sequenze anti-narrative al limite dell’astrazione, sempre di matrice kubrickiana, collocano l’opera prima dei Daft Punk in quel macro genere che può essere definito “film-experience”, visione liturgica assimilabile a un rituale.

Ma da parte dei due androidi c’è un residuo di nostalgia dell’umano. Per questo decidono di sottoporsi ad un intervento plastico che possa perlomeno restituirgli una posticcia umanità. L’operazione avviene in uno spazio laboratoriale che riprende ed estremizza ancora una volta le intuizioni kubrickiane. Così come le trasformazioni di Bowman avvenivano in un’asettica stanza in stile Régence quelle di Thomas e Guy-Manuel succedono in un ambulatorio con un impianto tecnologico old style. Ma la continuità c’è soprattutto a livello cromatico: il colore bianco che in 2001 irradia luce nel vero senso della parola, in Electroma raggiunge una potenza luminosa così spietata da trasfigurare fino all’astrazione lo spazio dell’azione. Il processo di fabbricazione di questi uomini-macchina porta però a un risultato grottesco, umiliante; e, infatti, una volta in strada i due vengono inseguiti e scacciati dagli altri androidi che si ritrovano a confronto con il loro precedente stato di biologico caricaturalmente riproposto come un putrescente ammasso escrementizio («Che cos’è per l’uomo la scimmia? Un ghigno o una vergogna dolorosa. E questo appunto ha da essere l’uomo per il superuomo: un ghigno o una dolorosa vergogna» {Nietzsche 1998, p. 6}).

La fuga assume ben presto i connotati di un delirio visionario che prende forma in sequenze cariche di simbolismi, alcuni tracimanti in perturbanti immagini edipiche. Se in 2001 il trapasso di Bowman coincide con un superamento della natura umana che è visivamente tradotto con l’immagine del feto astrale, in Electroma il desiderio dell’androide di rifarsi uomo è risolto come ritorno al ventre materno. La macchina da presa che segue Thomas e Guy-Manuel smette il pedinamento, si affranca dai due corpi robotici, per muoversi lungo traiettorie alari che riprendono lo spazio in prospettive imprevedibili: ecco allora che una cespugliosa duna desertica ripresa in controluce diventa un pube femminile. Ma il tentativo di ritorno rimane tale e di fronte all’impossibilità di soddisfare il desiderio non resta altro che distruggersi in un deserto rosso di gusvansantiana memoria.


Bibliografia

Nietzsche F. {1998}: Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, Adelphi Edizioni, Milano.


Filmografia

2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey) (Stanley Kubrick, 1968)





Titolo Originale: Electroma
Anno: 2006
Altro titolo: Daft Punk's Electroma
Durata: 74
Origine: USA
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: 35 MM (1:85)
Produzione: DAFT ARTS,

Regia: Thomas Bangalter; Guy-Manuel De Homem-Christo.

Attori:
Peter Hurteau; Michael Reich.
Soggetto: Guy-Manuel De Homem-Christo; Thomas Bangalter; Cedric Hervet; Paul Hahn
Sceneggiatura: Guy-Manuel De Homem-Christo; Thomas Bangalter; Cedric Hervet; Paul Hahn.
Fotografia: Thomas Bangalter
Musiche: Steven Baker
Montaggio: Cedric Hervet
Scenografia: Steven Sinclair
Costumi: Lisa Marie Harris
Effetti: John E. Gray; Alterian Inc.

Reperibilità


http://www.youtube.com/watch?v=dERo02LTokc

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