Nelle tenebre elementari un gocciolio d’alba introduce alla scena prima - il fuoco artificiale dissecca la superficie - dalla terra argillosa emergono i corpi scrostati, le pelli arricciate, la virgola impercettibile dell’angelico sesso.




Nel 1946 Carlo Levi, confinato in Lucania per sospetta attività antifascista, scriveva: «cessato ogni rapporto, quale prospettiva ideale potrà legare le cose? Esse sono identiche di impenetrabilità [...] E se il cielo si fa vuoto e nero ai nostri occhi, la luce sarà estranea come un oggetto» (C. Levi, 2001). Il solo obiettivo possibile della sua pittura era mettere al centro la vita nonostante le tenebre della storia e la violenza delle sue maiuscole: «Il senso dell’esistenza come creazione, dell’identità dell’uomo col mondo, di ogni relazione come atto d’amore, fa, di ogni segno, pittura».
I volti grinzosi dei suoi contadini affamati, l’ardore dei loro occhi senza speranza e senza terrore, la similarità di tutto in un tutto bestiale, non hanno niente a che fare con l’ultimo film di Schirinzi, né Carlo Levi è uno dei suoi autori tutelari; ma Eclisse senza cielo (introdotto da una sentenza di Derrida: «non vi è cenere senza fuoco») è un film di “confine” che sorveglia i legami tra le cose, un amoroso tributo alla forma luminosa e alla sua sacrosanta scomparsa.

Eclisse e cielo, cenere e fuoco sono congiunti, ogni termine per essere riconoscibile si affida ad una cavità che possa rifletterlo: il “non vi è” e il “senza” aprono a nuove visibili possibilità come la palpebra chiusa tra due immagini distinte, come la negazione coincidente con l’atto di creazione: dal fuoco la cenere e dal cielo l’eclisse, senza prima e senza dopo, né basso né alto. La visione di Schirinzi-Sambati mette in atto una sottrazione nelle cose identiche, raschia i contorni che separano e lascia che sia centrale l’azione, non l’oggetto. La tecnica e l’artigianato (vita quasi estinta nel nulla cosmico dell’autocompiacimento) documentano la fusione con la resina e con la colla, la contaminazione della materia che sporca, la deformazione dell’immagine dell’io riconoscibile e vago.

La regia è nelle mani e nella calma del gesto sapiente; l’espressione dell’artista Romano Sambati appartiene alla dimensione dell’imperturbabile, tutto il resto è figura e atmosfera che scompare per ricominciare nella pulsazione orbitale. L’azione di Schirinzi si congiunge all’atto di Sambati contravvenendo alla legge dell’impenetrabilità: l’occhio si fonde nella mano, il tempo dell’esercizio in quello dell’attesa, la solitudine nel riconoscimento. La finestra del laboratorio è aperta ma l’aria resta immobile, nessun rumore esterno penetra nelle stanze, la natura assiste alla propria sospensione nell’attimo che precede una notte vicinissima e cieca.

Pochi ed esatti passaggi acustici rimarcano e otturano i passaggi in profondità, ma il suono rimane soprattutto al di sotto della soglia dell’udibile. Solo la materia suona, Sambati ne intuisce gli umori e le sue mani piegano strappano lisciano accompagnano con amorevole cura le ondulazioni delicatissime. In assoluta aderenza, l’occhio non distingue più la pelle dalla carta e la carne dall’argilla: un abbraccio impresso sullo sfondo, come reperto polveroso di rapporti non cessati, resiste nella notte di malaluna e di carta.


Bibliografia

Levi C. (2001): Scritti politici, a cura di D. Bidussa, Einaudi, Torino.





Titolo: Eclisse senza cielo
Origine: Italia
Anno: 2016
Durata: 37’
Colore: C
Genere: Documentario
Produzione: Carlo Michele Schirinzi / Untertosten Film – Produktionen Autarkiken

Regia: Carlo Michele Schirinzi

Con: Romano Sambati
Suono: Marco Saitta

 

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