lionHerzog esplora la Chauvet Cave, una caverna nel Sud della Francia, nella quale sono state dipinte le più antiche immagini che siano mai state ritrovate: figure di cavalli, rinoceronti e leoni risalenti a 35mila anni fa sembrano rianimarsi per effetto del 3D.







Rileggendo il titolo verrebbe da chiedersi: abbiamo dimenticato dei sogni? Abbiamo il linguaggio per interpretarli e narrarli, abbiamo la tecnica per riprodurli, davvero ci manca qualcosa? Forse abbiamo dimenticato la dimensione del sogno più che i sogni stessi. Quella dimensione che Herzog aggiunge con il 3D alle due della rappresentazione cinematografica classica: una dimensione altra, fuori dalla nostra, quella dimensione che, attraverso e attraversando l'immagine, gli uomini di 35mila anni fa ritraevano sulle pareti delle caverne.
La Chauvet Cave si pone fuori dal mondo, pur essendone circondata, e diventa una sorta di "capsula temporale" in cui la storia lineare non entra, cosicché possa riprendere il flusso del tempo, senza inizio né fine, con un moto sussultorio simile a quello delle pieghe baroccheggianti della caverna. Herzog suppone che l'antico artista che ha dipinto gli animali abbia sfruttato l'ondulazione della roccia per conferire alle figure l'illusione del movimento, come a voler rendere una sorta di proto-cinema. Non sappiamo se sia così, di sicuro viene messa in discussione la coincidenza fra staticità dell'immagine e la sua conseguente eternità immobile nel tempo.

Se le forme non sono immutabili, doveva allora apparire del tutto naturale per i nostri progenitori immaginare una continua trasmigrazione da una dimensione a un'altra e quindi alberi parlare, uomini diventare leoni, ossa suonare e donne accoppiarsi con tori: immagini pure, che stanno lì a voler dir nulla.
Troppo spesso assistiamo a film in cui l'immagine ha un compito ancillare nei confronti della parola, esornativo rispetto a ciò che è detto o script. Nella Cave ogni immagine è al tempo stesso suono, si odono lo zoccolare dei cavalli come lo scornarsi fra i rinoceronti. Ecco forse un esempio di immagine acustica che nemmeno Saussure avrebbe sognato, una vera impronta psichica che si imprime in quella strana cavità spiegazzata su se stessa che è il cervello. E che approfondisce ciò che percepiamo superficialmente, ci fa entrare in contatto con quella dimensione da noi dimenticata ma che doveva essere naturale per quegli strani esseri non più animali ma non ancora uomini dai quali discendiamo. Forse il primo tratto distintivo dell’uomo, prima ancora del lavoro, è stato il bisogno di dar forma ai propri desideri, di immaginare – nel senso proprio di “fare immagini”.

Herzog sembra nutrire una profonda nostalgia religiosa per quel tempo mai vissuto, si addentra nella caverna come se oltrepassasse la soglia di un tempio di un culto anche da lui praticato. Sbeffeggia la tecnica (pur rimanendone affascinato) che si affanna a spiegare razionalmente il mistero delle raffigurazioni, cercando piuttosto in un movimento trascendente, verticale come le sue riprese, il senso delle immagini della caverna.
Non sappiamo se sia la direzione giusta, ma è giusto una direzione: come quella di volgersi semplicemente indietro, più che in alto, e ricercare nell’infanzia quella dimensione spirituale così simile all’onirico, dove i rinoceronti vengono disegnati tranquillamente con otto zampe, gli alberi parlano e si sogna di diventare leoni.





Titolo: Cave of forgotten dreams
Anno: 2010
Durata: 90
Origine: FRANCIA, CANADA, USA, GRAN BRETAGNA, GERMANIA
Colore: C
Genere: DOCUMENTARIO, STORICO
Specifiche tecniche: DCP, 3D
Produzione: CREATIVE DIFFERENCES, ARTE FRANCE IN ASSOCIAZIONE CON MORE 4 PER HISTORY FILMS

Regia: Werner Herzog

Attori: Werner Herzog (Narratore)
Sceneggiatura: Werner Herzog
Fotografia: Peter Zeitlinger, Chris Watts (stereografia)
Musiche: Ernst Reijseger
Montaggio: Joe Bini, Maya Hawke

Riconoscimenti

Reperibilità

http://www.youtube.com/watch?v=kULwsoCEd3g

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