Bird People fa dello spazio, dell’umanità, dell’assenza, l’inquadratura da cercare, una relazione da individuare, una geometria possibile, la parola e il gesto da trovare tra silenzi e voci di sottofondo, in mezzo a pensieri che scivolano come flussi, fiumi di dati su computer, cellulari, sugli schermi perennemente  connessi.

Un aeroporto, un treno, una premessa che si può sfogliare nelle pagine di Marc Augé. Masse di persone, uno scorrere caotico, quotidiano informe, fino ai primi piani che danno suono ai pensieri solitari, ai dialoghi fra amici, alla musica che le cuffie portano alle orecchie. Comincia qui, il film, in una zona documentaristica e osservativa. Poi, ci sono Gary e Audrey nei capitoli successivi, le tracce che già c’erano in questa pluralità in viaggio, le loro apparenze e i corpi. Lui americano, uomo d’affari di un’importante società della Silicon Valley, lei francese, studentessa universitaria e addetta alle pulizie nello stesso hotel, al limitare dell’aeroporto di Parigi, che ospita l’uomo per una trasferta di lavoro, l’ennesima. I loro occhi sono un riflesso, indizi, la loro vita è incompleta. Non si tratta di una storia che diventerà d’amore, di due solitudini che si ritrovano, lo sarà magari in un’altra vita, in un altro film, in un seguito da immaginare; è invece un film di due personaggi, due storie, su quello che ci manca, sulle nostre emozioni e sul nostro tempo.

Bird People, perché il volo è la zona incerta di quello che sono, di quello che saranno oltre i titoli di coda. Volare è un movimento e una crisi, essere altrove, lontano da terra. Volare, allora, come gli aerei da osservare dal vetro di una finestra di una camera d’albergo fra le tante tutte uguali, dopo averne presi troppi da una parte all’altra del mondo. Oppure come un passerotto divertito, alla sua prima volta, a disegnare traiettorie nel cielo notturno mentre Space Oddity di David Bowie è un desiderio che diventa immagine, è la meraviglia, il gioco, la libertà. Forse solo un sogno, immaginazione che sa d’infanzia.
E vola lieve e umorale, irregolare e metamorfico, sbilanciato eppure in equilibrio, questo film della parigina Pascale Ferran, classe 1960, sceneggiatrice e regista francese sensibile ma non particolarmente prolifica, praticamente sconosciuta in Italia. Perché Bird People è un cinema che non impone uno sguardo, ma avvera piuttosto quello dei suoi personaggi, aprendosi come la porta che conduce Audrey a un terrazzo, all’aria, a un’immagine inaspettata, un cinema che rinasce, bellissimo, diverso, vivo, libero come un uccellino che sfugge a un gatto affamato tra i corridoi e le stanze dell’Hilton.

Un film senza centro, una scrittura che progressivamente scompare, le linee interrotte di un realismo malinconico e isolato che diventa fantasia, il nostro mondo di disappartenenza coatta a tutto ribaltato in una favola privata, in una stretta di mano che è finalmente un contatto, un guardarsi, è esistere ancora, meravigliosa scoperta. Nel frattempo Gary ha rinunciato alla partenza per Dubai, ha mollato il lavoro, ha detto addio a sua moglie via skype: “Sometimes people change”. Audrey è stata un uccello per una notte, ha beccato patatine, ha visto ciò che mai era riuscita a vedere, si è risvegliata su quella terrazza. I due ora forse sono cambiati, il mondo no, ma il cinema certe volte riesce ancora a renderlo un posto migliore.





Titolo: Bird People
Anno: 2014
Durata: 127
Origine: Francia
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Produzione: ARCHIPEL 35, FRANCE 2 CINÉMA, TITRE ET STRCTURE PRODUCTION

Regia: Pascale Ferran

Attori: Josh Charles (Gary Newman); Anaïs Demoustier (Audrey Camuzet); Taklyt Vongdara (Akira); Roschdy Zem (Simon); Camélia Jordana (Leila); Geoffrey Cantor (Allan); Radha Mitchell (Elisabeth Newman)
Sceneggiatura: Guillaume Bréaud, Pascale Ferran
Fotografia: Julien Hirsch
Montaggio: Mathilde Muyard
Musiche: Béatrice Thiriet
Costumi: Anaïs Romand
Scenografie: Thierry François

Riconoscimenti

Reperibilità


http://www.youtube.com/watch?v=WmOa6KOdUKY

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