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Cominciamo dalla fine. La didascalia conclusiva che compare nei titoli di coda di Alleluia ci informa che quello che abbiamo visto è «Liberamente ispirato alla storia vera di Martha Beck e Raymond Fernandez» celebrati dalle pagine di cronaca nera come i “killers della luna di miele” o “gli assassini dei cuori solitari”: «due amanti – come li racconta Márquez negli Scritti costieri – che forse, durante il fidanzamento, non sfogliavano nostalgiche margherite come i protagonisti dei romanzi romantici, ma scaricavano un mitra contro le pareti di casa ripetendo il classico ritornello: “M'ama, non m'ama...”» (Márquez 1998).


Già, perché il loro idillio turbolento, fatto di raggiri compiuti ai danni di donne sole, prontissime ad innamorarsi dell'uomo sbagliato – più bello, più giovane -, rinsaldato dalla reciprocità di crimine e sesso, non è altro che un amore fatale. E riavvolgendo di poco la visione, ecco confermatoci quanto scritto dallo scambio di battute nel finale:

«È proprio un film d'amore?»
«Sì»
«A te piace?»
«Credo di sì»
«Non c'è niente di meglio»

Il sentimento di Gloria e Michel (così vengono ribattezzati i due amanti nella rilettura di Fabrice Du Welz) è furioso, convulso; vivono l'estasi come delitto: distruttivo e cruento sino al limite estremo dell'assassinio. Del resto, scrive Alessandro Baratti, ciò che importa al regista «è l’ossessione amorosa, matrice generativa della sua poetica [...], come grimaldello per esplorare le dinamiche di prevaricazione che funestano, ammorbandolo, il rapporto di coppia».

Il tratto convulsivo, e l'eccitazione che produce, c'entra con il fatto che questa relazione è vissuta al di là della ragione e al di fuori del quotidiano: un acuirsi di anarchiche atrocità compiute in una sorta di tempo sospeso: il film è strutturato in quattro atti, ciascuno dedicato ad una delle donne coinvolte (Gloria, Marguerite, Gabriella, Solange), ma, di là da questa organizzazione, lo sviluppo filmico è caratterizzato da una totale dispersione di indici cronologici. In questa dimensione alterata il desiderio dei due protagonisti si colora di tinte sanguigne, sfuma nell'amour fou, in quel legame, di cui parla Breton, assoluto, incondizionato e passionale, che stringe due esseri e li isola dal resto del mondo: «questa parola amore, […] viene da noi qui ricondotta, è inutile dirlo, al suo senso stretto, e minaccioso, di attaccamento totale» (Breton in Schwarz 2009, p.267).

O almeno è così agli occhi di Gloria, dato che è suo, fin da subito, lo sguardo che domina e definisce la scena: la sequenza di apertura si chiude infatti con lei che guarda dritto in macchina. È il fuoco della composizione, come del resto sarà per quasi la totalità del film. Anche in quei momenti nei quali non è fisicamente presente, il suo colpo d'occhio resta lo stesso il perno attorno a cui ruotano le immagini, e che ne determina coordinate e profili; ne è un esempio il momento in cui entra in scena, per la prima volta, Michel. L'uomo appare come immagine riflessa, sfuocata: è di fronte ad uno specchio, su cui è appesa una fotografia, perfettamente focalizzata, di Gloria, colta, anche qui, mentre fissa direttamente in macchina; lui si sta preparando per andare a conoscerla. Subito dopo ci sarà un capovolgimento di piani, ma intanto si è stabilito di chi è lo sguardo che istituisce e organizza ciò che viene mostrato, quale sarà l'ottica che delimita e dispone il campo. Soltanto nel quarto atto Gloria subirà, almeno inizialmente, le situazioni; la vedremo infatti arrivare sempre un po' in ritardo rispetto all'azione. Ma appena resasi conto di questa perdita di controllo cercherà subito di rimpossessarsi della scena; a questo proposito si carica ancora più di significato la minaccia che rivolge a Michel: «Li vedo i tuoi giochetti quando non ci sono».

La sensazione che si ha, dunque, vedendo Alleluia e quella di una percezione della realtà trasformata in rappresentazione. Una rappresentazione delirante e questo perché Du Welz si cala completamente nello sguardo di Gloria, particolarmente suggestionabile dalla personalità paranoica e fanatica del proprio partner. Da qui si capisce il perché di una regia allucinata, che dà forma ad un paesaggio psichico convulso: questa si plasma sulle spinte pulsionali della protagonista, sui flussi mentali che scaturiscono dalle zone più oscure del suo essere. Per dirla pasolinianamente, Du Welz realizza una soggettiva libera indiretta capace di restituire un'immagine «onirica, barbarica, irregolare, aggressiva, visionaria» (Pasolini 2003, p. 179).


Bibliografia

Márquez G.G. (1998): Scritti costieri, Mondadori, Milano.

Pasolini P.P. (2003): Empirismo eretico, Garzanti, Milano.

Schwarz A. (2009): La donna e l'amore al tempo dei miti. La valenza iniziatica ed erotica del femminile, Garzanti, Milano.





Titolo:
Alleluia
Anno: 2014
Durata: 93min
Origine: Belgio / Francia
Colore: C
Genere: DRAMMATICO, THRILLER
Produzione: Panique, Radar Films, Savage Film, One eyed,

Regia: Fabrice Du Welz

Attori: Laurent Lucas, Lola Dueñas, Stéphane Bissot, Édith Le Merdy, Anne-Marie Loop, Héléna Noguerra, Pili Groyne, David Murgia
Sceneggiatura: Fabrice Du Welz, Vincent Tavier, Romain Protat (dialoghi)
Fotografia: Manu Dacosse
Montaggio: Anne-Laure Guégan
Costumi: Christophe Pidre, Florence Scholtes
Musica: Ragnar Vincent Cahay

Riconoscimenti

Reperibilità


http://www.youtube.com/watch?v=ASTLBRisWjo

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