altI connotati sono quelli del delirio di tipo kafkiano, non stereotipo, ma radicato alla sostanza ruvida delle cose: dati concreti di fondo, ma amplificati a dismisura, fino a creare un universo in cui la regola è l’eccesso e l'aporia; non una soluzione dei fatti nutriti dalle cose, ma una dissoluzione continua degli eventi; accensione di eventi che si perdono nella continuità audio-video.


Abluka
di Emin Alper è la messinscena allucinatoria e paranoide di un mondo strutturalmente alterato dal sentimento di terrore indotto dalle politiche securitarie: una tirannide che colma il proprio desiderio di repressione attraverso lo spossessamento dei segreti dell'altro, (un altro che scopre se stesso, cioè il proprio, ontologico, disperante essere cangiante, mano a mano che le immagini si s-fanno) al fine di coglierne segni d’insubordinazione e neutralizzarli; un sistema politico capace di trasformare «“uomini semplici” in parti del suo meccanismo violento fornendogli autorità e strumenti di violenza».

Il regista, per recuperare un'espressione di John Barth, costruisce il proprio film attorno all'idea di «definitività del nostro tempo» concetto che si può provare a spiegare rimandando a quella condizione estrema, tanto diffusa da essere diventata quasi un comune sentire: non quello della fine della Storia ma l’illusione della sua fine; cioè la condanna a un'imminente catastrofe, conseguenza determinata da un clima di tensione isterico e paranoico causante frammentazione psichica, dissoluzione della realtà, deriva ad occhi aperti, e altri sintomi debilitanti propri della postmodernità apocalittica, sicchè anche il palinsesto visivo, habitat endemico e autosufficiente, frana.

E il senso di apocalisse è forte di fronte al paesaggio propostoci: Istanbul è una landa detritica di pietrame e laterizi rotti; la città è sfondo di una periferia di case, ormai ridotte a resti di abitazioni, tra cui girano, randagi, cani senza padrone accorti a non farsi abbattere dagli spari delle squadre comunali, come quella in cui è impiegato Ahmet, che, oltre a dover “elaborare il lutto” del proprio matrimonio, è costretto a contenere le intromissioni di Kadir, suo fratello maggiore, ricomparso dopo vent'anni di carcere, tormentato dalla colpa di averlo abbandonato. Kadir è in libertà condizionale, scarcerato a patto che riesca, rovistando tra i rifiuti, a raccogliere informazioni, per i servizi segreti, sui focolai terroristici.

La regia salta schizofrenicamente tra questi due fuochi della rappresentazione, mostrando frammenti di situazioni in azione reciproca (opposte condizioni di percezione - tanto si sente incalzato Ahmet, quanto è incalzante Kadir nelle proprie indagini – accomunate da un crescente stato di alterazione). Una messinscena destrutturata che segue il quadro di squilibrio dei due protagonisti, ciascuno vittima del proprio delirio. Il regime allucinatorio è rafforzato da un sound design che amplifica nello spettatore questa impressione di disagio, attento com'è a esasperare i rumori dei martellamenti, dei calcinacci in frantumi, degli spari. Abluka è un film in abisso che trascina, chi guarda, nel gorgo della percezione, di una percezione di una percezione,...

Una precedente versione della recensione è stata pubblicata su gli SPIETATI





Titolo:
Abluka (Frenzy)
Anno: 2015
Durata: 119'
Origine: Francia, Qatar, Turchia
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Produzione: INSIGNIA PRODUCTIONS, LIMAN FILM, PAPRIKA FILMS

Regia: Emin Alper

Attori: Mehmet Ozgur (Kadir), Berkay Ates (Ahmet), Tülin Özen (Meral), Müfit Kayacan (Hamza), Ozan Akbaba (Ali)
Sceneggiatura: Emin Alper
Montaggio: Osman Bayraktaroglu
Fotografia: Adam Jandrup
Musica: Cevdet Erek

Riconoscimenti


http://www.youtube.com/watch?v=aWDIYhXLmJU

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