fragil

«Terrore di amarti in un posto così fragile come il mondo
pena di amarti in questo luogo di imperfezione
dove tutto ci spezza e ammutolisce
dove tutto ci mente e ci separa».

Sophia Mello Breyner Andresen


 

Alla pari di De Oliveira, Pedro Costa, Miguel Gomes, per dirne solo alcuni e di suoi compatrioti, Rita Azevedo Gomes, qui al suo secondo lungometraggio di una al quanto ragionata filmografia – appena quattro film dal debutto, O som da terra a tremer, siglato nel 1990 -, può essere considerata parte di quella schiera di autori che sono inclini ad allargare le maglie del reale per approdare verso lidi magnetici, immaginifici, sublimi. Certo è che si conviene ciecamente con De Gaetano quando, nelle sue impeccabili rivisitazioni deleuziane, sostiene: «Il sublime appartiene alla visione e non all’azione. Raggiungerà il sublime il veggente e non l’attante, l’infermo e non il megalomane».

Non a caso con Fràgil como o mundo ci troviamo alle latitudini del cinema contemplativo – dove si sta febbrili e disarmati davanti alla bellezza e al dolore di ciò che passa nell’immagine. È, infatti, attraverso una danza cadenzata di immagini-affezione – che rompono l’ordine della rappresentazione per entrare in quello dell’espressione - che ci si addentra a tentoni in uno spazio frammentato dal gioco perfetto del colore e dell’ombra. Un bianco e nero antico e irreale – che talvolta cede liricamente al colore – e delle ombre che scavano infaticabilmente risonanze d’altrove: si ha così la netta impressione di scrutare il flusso randagio e fugace di un sogno o di un ricordo.

Diafana e imprendibile, Vera, la piccola protagonista, è al contempo presenza e assenza tra le cose, tra gli alberi, sulle felci, sulle foglie, nella nebbia. Ecco perché si trova sempre su una linea di fuga, anche quando tenta invano di definire un territorio autentico dove vivere intensamente il suo amore per Joao. Amore che resta puro e inalterato solo dentro le lettere – e dunque nella traccia della scrittura – custodite sotto qualche pugno di terra, ai piedi di uno steccato mezzo spiantato, e destinate alla voce inebriata d’amore che vive appena nell’eco di quelle rinnovate promesse d’eternità. D’altra parte è innegabile: l’impossibilità del definitivo è pura vertigine e fa venir voglia di morire. Allora, la morte, quel lato della vita non volto verso di noi (Rilke), si erge a sentinella di ciò che si vorrebbe ardente e immutabile dentro l’oltraggioso corso del divenire.

Infrangendo la molarità propria alla percezione umana per accedere alla molecolarità della percezione materica – spostando così il centro dalla solidità della terra lungo la frequenza vaporosa dei rapidi e bassi banchi di nebbia, tanto da far pensare talvolta a un Tarkovskij evaporato – le immagini di Fràgil como o mundo trovano il senso della propria esistenza in un sussurro temporale inebetito e stagnante – come assopito nella bava di secrezioni erotiche consunte nella loro implosa venuta.
Ed è inequivocabile, sin dall’inizio d’altronde, nel suo annunciarsi dentro un riflesso di pezzo di cielo sull’increspatura di una superficie acquosa: più che tendere alla definizione di una sua corporeità, assistiamo a un suo luminoso smembramento, a un divenire-nebbia dell’immagine. Tanto che, seppur sporadici, repentini passaggi al colore, come dicevo, sembrano voler scoprire un’immagine più vera dietro quella del mondo.

Ma allora dove si tiene Fràgil como o mundo? Direi, piuttosto, nell’inafferrabile immanenza di ciò che abita l’immagine, nel suo colore amniotico e ancestrale, nella sua nostalgia per un’unità perduta. Vi è, infatti, in seno a questi corpi-spettri la traccia, fiammeggiante e dolorosa, di una «lacerazione originale» che li abbandona dentro una «significazione di morte» (Lacan). Ecco perché Fràgil como o mundo ha un incedere autunnale – quando tutto facilmente si sfalda e cade in un muto piangere in fondo al bosco.





Titolo: Fràgil como o mundo
Anno: 2001
Durata: '90
Colore: B/N - C
Produzione: Madragoa filmes - RTP

Regia: Rita Azevedo Gomes

Attori: Maria Goncalves (Vera), Bruno Terra (Joao), Sophie Balabanian (madre di Vera), Carlos Ferreira (padre di Vera);
Soggetto: Rita Azevedo Gomes
Sceneggiatura: Rita Azevedo Gomes
Fotografia: Acacio De Almeida
Montaggio: Patricia Saramago
Scenografia: Paula Mighalada

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